Qualche giorno fa, grazie alla mai troppo lodata Radio Radicale, ho potuto ascoltare alcuni momenti del convegno tenuto a Torre Pellice sulla storia del movimento federalista europeo ispirato e fondato da Altiero Spinelli.
Ho sentito le parole di Valdo Spini, e quelle del presidente Mattarella. Ma soprattutto, in una pausa del confronto, la radio ha ritrasmesso l’intervento appassionato pronunciato da Spinelli al congresso del partito radicale italiano del 1985, dove l’autore – con Ernesto Rossi e Eugenio Colorni (e anche, come è stato opportunamente sottolineato al convegno, col contributo importante della moglie Ursula Hirschmann) – del “Manifesto di Ventontene” chiedeva a gran voce ai radicali e a Pannella di impegnarsi anche in Europa per il progetto federalista.
L’anno prima aveva proposto un progetto costituzionale per gli Stati Uniti di Europa. Il suo intervento era tutto centrato sul fatto che non bisognasse perdere l’occasione per un pronunciamento in questo senso del Parlamento europeo, e soprattutto che si dovesse fare tutto il possibile per smuovere le opinioni pubbliche dei paesi europei.
Non conoscevo nel dettaglio questo discorso e mi ha colpito il ragionamento di fondo, che riassumo rapidamente: ormai non esiste più alcun grande problema politico, economico, militare, scientifico, culturale ecc. che possa essere affrontato dagli Stati nazionali. È inevitabile che si affermi una dimensione sovranazionale del potere politico, e in questa parte del mondo le alternative sono soltanto due. O si afferma un potere, e una democrazia in Europa basati su una federazione degli Stati davvero in grado di delegare a un livello superiore e continentale di governo le scelte di fondo, oppure si affermerà anche sull’Europa il potere dell’”Impero americano”.
Spinelli usa proprio – assai prima di Toni Negri – il termine “Impero”. O c’è una via “imperiale” americana, già ben evidente nel dopoguerra e in quel momento di affermazione del reaganismo, nella quale all’Europa tocca la parte di chi obbedisce, o una via federale e democratica europea.
Sappiamo poi come sono andate le cose, e come vanno adesso.
Il suo appello ai radicali, che avevano dimostrato su un tema importante come la legge sul divorzio una grande capacità di agire e di sensibilizzare l’opinione pubblica italiana, scommetteva sulla possibilità di moltiplicare in tutta Europa, o almeno nei paesi più determinanti come Germania, Francia, Spagna, la convinzione e l’azione per l’obiettivo federale.
Le sue parole conclusive erano state sulla speranza che in questa battaglia politica europea sarebbero stati portati “il vostro fervore e anche il vostro grano di follia”.
Ecco, di fronte alla pochezza dell’agire e del parlare della politica che abbiamo di fronte a occhi e orecchie (rimozione quasi totale di qualunque discorso sulla guerra “nel cuore dell’Europa” che non sia lo schieramento acritico con l’”Impero”, o per converso un’invocazione della pace poco capace di indicare le vie realistiche – o anche utopistiche! – per arrivarci) quell’evocazione di un “grano di follia”, al posto del tradizionale e modesto “grano salis”, mi ha fatto l’effetto di una boccata di aria fresca, anzi di un colpo di vento che spiazza e forse riorienta.
Mi sembra anche giusto ricordare che Spinelli, scomparso poco dopo, il 23 maggio dell’86, parlava ai radicali ma era tornato alla politica parlamentare in Italia e in Europa eletto (nel ’79) come indipendente nelle file del Pci di Berlinguer. Lui che si era fatto dieci anni di galera, e poi il confino, perché antifascista iscritto al partito comunista, da cui era stato espulso nel ’37 perché antistalinista.