Dal momento che per “Barbie” si levano così tanti giudizi contrastanti: Straordinario, noioso, accademico, ironico, pop, demenziale, mi è venuto il dubbio che Greta Gerwig regista e sceneggiatrice assieme al partner Noah Baumbach abbiano proprio toccato le corde contradditorie e conflittuali della condizione femminile.
Condizione di ieri quella descritta nel film, ma buona anche per l’oggi e che continua a dividere il giudizio delle donne stesse nonché degli uomini nonostante le barbie-giocattolo siano state abbandonate per le diavolerie tecnologiche.
Tuttavia, dopo i venti e più milioni di euro raggiunti dall’uscita in Italia, dopo la collezione Zara tutta pastello, aggiungerei a posteriori qualcosa alla recensione su DeA (di Ghisi Grütter) giacché la fiaba ha una sua morale (ma quali fiabe non si trascinano dietro una morale?) e racconta con molto affetto e qualche tocco di nostalgia un tempo non proprio così lontano.
La bambola dalle lunghe gambe, dall’eterno sorriso, che pure la bravura di Magot Robbie sa graffiare e sottrarre al blockbuster, parte da Betty Friedan e “La mistica della femminilità”, ma una non si leva dalla testa l’altra figura femminile che decise, più o meno ottanta anni prima, di abbandonare la sua “Casa di bambola”.
Decisione che tuttavia lasciò inevasa la domanda sul dove sarebbe andata a finire Nora, che avrebbe combinato, come se la sarebbe sfangata. D’altronde, non spettava a Ibsen rispondere bensì alle donne.
In effetti, “Barbie”, mixando e confondendo i piani del mondo immaginario e di quello reale dove funzionano (ancora!) a pieno ritmo disparità, ingiustizia, stereotipi, modelli di ruolo, machismo tossico, non riesce e non vuole nascondere inghippi e trappole dell’empowerment, dell’autorealizzazione, in fin dei conti dell’emancipazione.
Piuttosto, le contraddizioni le dribbla camminando sul ciglio di un burrone.
Barbie guarda Ken, un meraviglioso, pompato, canterino, ballerino, ossigenato Ryan Gosling, scioccone sempre secondo in Barbieland, dall’alto in basso, salvo scoprire che il primato maschile ancora ha uno spazio nel paese del patriarcato.
Va bene – riflette Barbie Stereotipo – diamoci un taglio a quell’immaginario pregresso che mi voleva oggetto, prodotto mercificato. Eventualmente, come Nora, sbatterò la porta in faccia al femminismo liberista (rendendo felice Nancy Fraser), addirittura scenderò dalle scarpe tacco dodici per infilare le Birkenstock che pare dopo l’uscita del film abbiano fatto un balzo incredibile nelle vendite.
Resta il problema che se non apri dei conflitti a un certo punto sei costretta a fermarti. Magari il finale che evitiamo di raccontare per quante e quanti non hanno ancora visto il film, suggerisce qualche risposta.