BARBIE – Film di Greta Gerwig. Con Ryan Gosling, Margot Robbie, Will Ferrell, America Ferrera,Emma Mackey, Simu Liu, Michael Cera, Ariana Greenblatt, Kate McKinnon, Rhea Perlman, USA 2023. Musiche di Mark Ronson e Andrew Wyatt. Scenografia di Sarah Greenwood, fotografia di Rodrigo Prieto. Costumi di Jacqueline Durran.
Chi non ricorda le stucchevoli bambole (le fashion dolls) inventate alla fine degli anni ’50 in America che avevano la forma del corpo femminile, i tacchi a spillo, i capelli biondo platino pettinabili e tantissimi accessori? Barbie in quegli anni ha applicato una specie di rivoluzione sociale nel mondo delle giovani le quali non avevano più bambole con le quali giocare a fare la mamma, ma potevano fare un’evoluzione del ruolo di donna.
L’azienda Mattel Inc., che l’aveva prodotta, dopo aver ricevuto centinaia di lettere che chiedevano un ragazzo per Barbie, ha presentato Ken nel 1961 e così è nata la celebre coppia “iconica”.
Su Barbie, l’attrice e regista Greta Gerwig fa un film, da un lato riprendendo un filone di storie in cui le bambole diventano reali (ma non è così anche per Pinocchio?), dall’altra riagganciandosi a quello dei “mondi perfetti” di cui l’ultima versione è “Don’t Worry Darling” di Olivia Wide del 2022, una sorta di remake del “La Donna Perfetta” di Frank Oz del 2004, che a sua volta è tratto da “La fabbrica delle mogli” di Bryn Forbes del 1975.
In Barbieland vige una forma di matriarcato: un’utopia costruita dove le donne Barbie hanno il potere e gestiscono in modo impeccabile la loro comunità, al di fuori dei vari Ken che vivono in funzione solo delle attenzioni delle varie Barbie. Fondale naturalmente rosa, e colori pastello.
Una simbolica membrana separa il mondo reale dal mondo immaginario e la rappresentazione “plastica” del fiabesco che Barbie Stereotipo (interpretata da Margot Robbie) e Ken (interpretato da Ryan Gosling) abitano, è una specie di musical.
Non sto qui a narrare le vicende in cui avviene la contaminazione tra reale e immaginario, del resto è facile a supporre.
“Barbie”, può essere tutto e il contrario di tutto contemporaneamente: uno stereotipo forgiato dallo sguardo maschile e una figura che rappresenta in maniera paradigmatica emancipazione e indipendenza. È la storia dell’autodeterminazione della bambola inventata da Ruth Handler come prodotto capitalista, che da oggetto finirà per scoprirsi umana. E per questo, naturalmente, non necessariamente perfetta.
Al di là della favoletta femminista raccontata con ironia si possono apprezzare le scenografie, le musiche – l’incipit con Richard Strauss riprende “2001 Odissea nello Spazio”-, le performances di alcuni attori come Ryan Gosling, di cui conoscevamo già l’abilità di musicista, cantante e ballerino (come dimenticarlo in Sebastian di “La la Land” del 2016), e della bella Margot Robbie, perfetta nel suo ruolo, che riesce a dare espressione a un volto che dovrebbe essere inespressivo.
Uno dei limiti insiti nella sceneggiatura di “Barbie” – che è stata scritta dalla stessa Greta Gerwig assieme al suo compagno Noah Baumbach – pur ricca di svariate trovate provocatorie, è che segue le regole del sistema capitalistico che sembrerebbe voler mettere in discussione, finendo per mediare e conciliare elementi di tradizione ed elementi di rottura. Del resto essendo la Mattel tra i produttori del film, non poteva che concludersi in modo positivo e un po’ eccessivamente mieloso.