Pubblicato sul manifesto il 20 giugno 2023 –
Una vecchia amica e un novo amico hanno idee un po’ diverse su Giacomo Puccini. E questo ha animato l’ultima – ultima si spera solo di quest’anno… – interessante conferenza “domestica” (Parlardimusica) di Jacopo Pellegrini, che si è impegnato a contestare il giudizio di una musica e di contenuti “piccolo borghesi” nelle opere del nostro.
Un “pregiudizio” che il relatore attribuisce a una non meglio definita “sinistra” ma proprio anche di Benedetto Croce. Un’altra versione, più benevola, dei critici di Puccini ha dovuto pur riconoscere che l’enorme e perdurante successo globale della sua musica era basato su una maestria geniale, e ben moderna. In contrasto però con i contenuti provinciali delle sue opere.
Ma invece no. Persino Butterfly (in programma all’Opera di Roma) che fu accolta da fischi alla prima scaligera, più volte rimaneggiata dall’autore, con quella storia patetica di una donna persa d’amore per uno che non ne vuol sapere, e tutte quelle “cineserie” giapponesi, deve essere pellegrinescamente rivalutata, da capo a fondo.
L’argomentazione sulla musica è più “facile”: lo sguardo di Puccini sulle scale pentatoniche orientali era mosso da curiosità genuina – facendone anche grimaldelli contro la consuetudine armonica nostrana – e ben fuso con il magistero contrappuntistico occidentale e gli improvvisi slanci romantici. Con un sottile gioco di sottolineature: la protagonista canta come un’eroina del Nuovo Mondo quando affronta un pretendente del suo paese, o quando soffre con il suo bambino per il tradimento del quasi-marito americano.
Per rendere moderno, anzi contemporaneo, il personaggio che domina l’opera (una composizione “a donna sola”, secondo lo stesso Puccini), il nostro critico ricorre a una teoria tutta sua. Che lo sapessero o meno librettisti e musicista, Cio Cio San, la donna-farfalla destinata a essere simbolicamente infilzata per adornare una collezione, era probabilmente affetta da uno strano morbo, una erotomania: è convinta che un altro sia innamorato di lei… Questa tesi è stata efficacemente inquadrata nel clima di inizio Novecento – la “prima” di Butterfly avviene nel 1904 – quando escono i primi scritti di Freud, mentre in Italia Lombroso e Mantegazza si occupano di classificare i caratteri criminali o oblativi delle donne. Ci si appassiona, insomma, ai misteri dell’inconscio, alla complessità delle personalità.
Ma il disagio mentale anziché rafforzare la posizione di “vittima” e succube della protagonista contribuisce a capovolgerne la postura: non cede sul proprio desiderio – si potrebbe dire lacanianamente? – e persino l’esito finale del suicidio è forse più un atto di ribellione, di affermazione di sé, che di auto annientamento. Insomma, Madama Butterfly quasi eroina protofemminista…
Non so se la mia amica si è lasciata convincere. Certo si può sospettare, Jacopo dixit, che le protagoniste di Puccini – ricordiamo naturalmente anche Tosca, che “ama, prega, mente, uccide e si uccide”, e Manon – non stiano poi molto al di sotto della moderna complessità delle loro “maggiori” contemporanee straussiane Elektra e Salomè.
Insomma quel musicista nato nella piccola Lucca, che amava i motori e le cravatte dei College inglesi, così come la caccia, il denaro e le donne, forse addirittura al di là della sua cultura effettivamente un po’ “piccolo borghese” (sarebbe stato un ottimo fascista, e forse aveva già cominciato a esserlo quando morì nel 1924) era riuscito, quasi senza intenzione, a inventare partiture e personaggi che ci parlano ancora oggi. Risultati ottenuti malgré lui?