CAN CHE ABBAIA NON MORDE – Film di Bong Joon-ho. Con Lee Sung-jae, Bae Doo-na, Kim Ho-jung, Byun Hee-bong, Corea 2000. Sceneggiatura del regista con Sohn Tae-Woon e Song Ji-Ho. Musiche di Cho Sung Woo e fotografia di Cho Yong Gyu.
Questo è il primo film di Bong Joon-ho che ha girato nel 2000, appena trentunenne. Sono convinta che questo regista coreano sia molto bravo ma che i suoi film migliori siano rimasti sconosciuti a noi per tantissimi anni.
“Peullandaseu-ui gae”, il titolo in originale, è un film ironico che contiene già tutta una serie di elementi che il regista svilupperà in seguito, ma è piacevole proprio per questa sua freschezza sia di immagini sia di contenuti.
Il soggetto è un condominio a Seul durante una settimana, uno di quei palazzoni/grattacieli con case a ballatoio dove vive la maggior parte della popolazione urbana, potremmo dire la middle-class. Gli abitanti hanno una serie di ossessioni e fissazioni: tra gli altri c’è una giovane coppia mal assortita: Ko Yun-ju (interpretato da Lee Sung-jae), ricercatore universitario e la sua compagna Eun-sil (interpretata da Kim Ho-jun) incinta, c’è anche una vecchietta sola che vive con il suo adorato cagnolino, e ci sono due amiche entrambe impiegate che hanno però lavori precari (una delle due è interpretata dalla dolcissima modella sudcoreana Bae Doo-na, già vincitrice del Fipresci Prize all’Hong Kong International Film Festival 2001).
Come il regista ci ha fatto vedere in “Parasite”, gli scantinati degli edifici sono anch’essi abitati e più si va verso gli inferi più si trova la povertà vera. Al piano terra il guardiano e il portiere si raccontano storie e leggende del palazzo. Ma lì sotto vive, nascosto, anche un homeless che rubacchia un po’ di cibo quando può e che comunque, una volta arrestato, verrà accusato di tutti i crimini avvenuti nel condominio e di cui lui non si rende neanche conto, accettando, sembrerebbe di buon grado, una prigione che gli fornisce pasti regolari.
Gli intrecci nella trama sono molteplici, il leit-motiv è la presenza (contro il regolamento condominiale) di piccoli cagnolini che abbaiano e che disturbano la quiete/concentrazione del nostro ricercatore universitario in carriera.
Il film, come tutti quelli che Bong Joon-ho girerà dopo, non risparmia alcune scene di violenza, ciononostante mostra un gran talento visivo per la costruzione dell’immagine, e soprattutto mostra una sceneggiatura che si traduce in potente critica alla società sudcoreana. In molti film coreani mi colpisce il tema ricorrente della corruzione, quella palese, acclarata, a cui tutta la società è costretta a sottoporsi.
Pochi sono i dialoghi ma la musica è onnipresente a commentare ogni scena.
La città è molto presente con i suoi skyline, mentre i palazzoni residenziali – quasi alveari umani – sono in contrapposizione con il fitto verde dell’intorno, così come mostrano le scene sui terrazzi o le passeggiate degli abitanti con i cagnolini.
Lo squallore commisto a sporcizia è l’altro tema sempre presente nella cinematografia di Bong Joon-ho, così le case minuscole con i tatami a terra e così i ristoranti claustrofobici.
I film che seguiranno “Can che abbaia non morde”, sono anch’essi strepitosi. “Memorie di un assassino” del 2003, che hanno fatto uscire solo dopo che il regista aveva vinto il doppio Oscar nel 2020, sicuramente è meno costruito di “Parasite” appositamente per fare effetto o per aderire esplicitamente a una posizione politica. È tratto da una pièce teatrale scritta da Kwang-lim Kim che, a sua volta, si è ispirato a un capitolo di cronaca nera realmente avvenuta tra il 1986 e il 1991.
Durante gli anni del regime militare di Chun Doo-hwan, nel 1986, in un piccolo villaggio nella provincia del Gyeonggi, due investigatori sono sulle tracce di un serial killer che uccide giovani donne. I detective sono in continuo conflitto tra loro e spesso – tra il grottesco e la commedia – litigano proprio quando sembrano essere vicinissimi alla soluzione del caso, con i tipici siparietti tra lo sbirro di campagna e lo sbirro di città, come i classici del genere.
“Madre” del 2009 a mio avviso il più bello di tutti i film girati da Bong Joon-ho, e contiene anch’esso gli elementi della corruzione, degli errori di persona e delle accuse immeritate. È la storia appassionata di una mamma e di suo figlio che è un po’ ritardato e viene accusato di omicidio. La madre si batterà con tutta se stessa per provarne l’innocenza. Da sola si metterà a indagare per cercare il vero responsabile, attraversando lunghissimi percorsi di giorno, di notte, con la pioggia, in tutte le situazioni climatiche. Nonostante il suo stesso figlio la cacci via dal carcere dove gli fa frequenti visite, lei continua a cercare tracce, prove, testimoni, qualcuno in grado di fornire una prova che lo scagioni. Nel film ci sono degli splendidi panorami dove la madre spesso cammina a piedi passando dalla aperta campagna alle stradine di un villaggio povero del sud.
Bong Joon-ho attraversa tutti i generi cinematografici e adesso siamo in attesa del suo prossimo film “Mickey 7” che sarà dichiaratamente di fantascienza.