Pubblicato sul manifesto il 23 maggio 2023 –
Scrivo qualche ora prima di andare a discutere in un’aula universitaria (1) sul libro di Maria Luisa Boccia Tempi di guerra. Riflessioni di una femminista (manifestolibri, 2023), di cui ha parlato qui Pasqualina Napoletano. Per ora di questo testo, breve quanto prezioso per riuscire almeno a pensare su un evento – il ritorno della guerra nel mondo, e ora e di nuovo “nel cuore” dell’Europa dopo il troppo rimosso conflitto nella ex Jugoslavia – che sembra annichilire le nostre facoltà mentali, citerò solo un passo, tratto da un articolo del 2003 sulla rivista Via dogana:
«…tenere conto dell’odio, o meglio dell’aggressività, mi sembra necessario per recuperare la funzione positiva della conflittualità, sganciandola dall’opposizione distruttiva tra amico e nemico. Non vedo altro modo di sfuggire all’alternativa tra una pace impolitica e una politica guerriera. E non vedo come si possa farlo se donne e uomini non mettono in gioco la differenza sessuale, sottraendola a posizioni speculari che troppo ancora la irrigidiscono».
Non commento; mi piacerebbe sapere che interrogativi suscita in chi lo legge. Lo cito perché ha fatto risuonare qualcosa in me oggi, dopo l’impressione che mi hanno fatto le parole di Zelensky, di fronte a quella che sembra la definitiva (?)“conquista” da parte dei mercenari russi delle rovine di Bakhmut. L’intera Ucraina “come Hiroshima”. Considero Putin un politico criminale, ma devo dire che mi è sembrata una frase assurda, inquietante, sbagliata, pronunciata nel luogo – altrettanto assurdamente inquietante e sbagliato, la città distrutta dall’atomica americana – scelto per la riunione di questo bellicoso G7.
Per il resto me la cavo suggerendo di ascoltare anche un altro discorso. Quello di Ida Dominijanni a un recente seminario promosso dall’Alleanza Verdi Sinistra.
Condivido molto una sua prima considerazione: c’è qualcosa di “intollerabile” nel fatto che né la sinistra italiana né quella europea abbiano finora sentito il bisogno di riflettere sul dato che la guerra in Ucraina è anche la prima guerra interna all’ex campo “socialista” ed è legata ai modi in cui quel campo dopo l’89 si è decomposto.
È ”anche” questo perché secondo Dominijanni intorno a Kiev si combattono almeno tre conflitti intrecciati. Uno è definito dalla (imprevista) aggressione russa e dalla (imprevista) reazione ucraina per la propria indipendenza. Il secondo è una guerra “preventiva” russa (termine che evoca la analoga posizione americana contro terrorismi e “stati canaglia”) contro ulteriori espansioni Nato. La quale Nato è da tempo impegnata contro le mire neoimperialiste russe più o meno reali o presunte. Infine, come dimostrano le conclusioni del citato G7, è una guerra la cui posta in gioco maggiore è la ridefinizione dell’”ordine” mondiale, in una fase in cui il comando unipolare Usa è messo in discussione non solo da Cina e Russia.
Da questo concentrato bellico si diparte una torsione politica e simbolica che sembra azzerare il linguaggio politico soprattutto dalle nostre parti europee. Anche quello di chi si oppone, concentrando molto, forse troppo, sulla questione del mandare o non mandare armi.
Dominijanni cita anche la “ribellione dei maschi giovani alla coscrizione obbligatoria” che emerge in Russia, ma anche in Ucraina. E i due diversi “modelli”, uno nostalgico e l’altro “eroico e democratico”, ma entrambi “patriarcali”, incarnati dai due nemici che si combattono, Putin e Zelensky.
Osservazioni dalle quali sarebbe interessante ripartire?
(1) – L’incontro si è poi tenuto con l’autrice (e molte studentesse e studenti) nel pomeriggio di lunedì 22 maggio all’Università di Roma, al Dipartimento di Filosofia a Villa Mirafiori per iniziativa di Caterina Botti, che vi insegna Filosofia morale.