Mi è capitato di ascoltare (sempre grazie all’autoradio durante una delle solite code nel traffico romano) una bella esecuzione di quel capolavoro che è I quadri di una esposizione, di Modest Musorgskij, nell’orchestrazione di Maurice Ravel.
Come si sa il compositore russo scrisse questa originalissima suite dopo aver visto una mostra di dipinti del suo amico Viktor Aleksandrovič Hartmann, morto a 39 anni alcuni mesi prima. In poche settimane Musorgskij scrisse il pezzo per pianoforte che “descrive” i quadri dell’amico, separati dalle note che evocano, con una variazione interna, le “passeggiate” tra un dipinto e l’altro. Era il 1874.
Come per altri suoi lavori la storia della pubblicazione fu travagliata. Della prima edizione, nel 1886, si occupò Nikolaj Rimskij-Korsakov, che considerò “errori” molte geniali innovazioni armoniche e stilistiche dell’amico, ormai scomparso, e decise disinvoltamente di “correggerle”. Avevano fatto parte del “gruppo dei 5” compositori russi che volevano una musica più vicina alla tradizione del loro paese, rispetto al richiamo delle tendenze occidentali post-romantiche, seguite per esempio dal contemporaneo Čajkovskij (cosa vera solo in una certa misura). In seguito, ma solo negli anni 30, fu restaurata la partitura originale.
Un anno dopo la stesura dei Quadri per pianoforte da parte di Musorgskij, quindi nel 1875, nasceva in Francia, in un paesino dei Pirenei, Maurice Ravel. Sarebbe toccato a lui, nel 1922, di comporre la versione per orchestra affermata come migliore (altre ne erano state tentate prima, e altre ne saranno scritte poi). La maestria di Ravel ha contribuito al successo di questa musica. Anche io ho scoperto da ragazzo i Quadri nella versione raveliana, e solo dopo quella per pianoforte, che per molti versi preferisco.
Mentre ascoltavo astraendomi dal caos automobilistico di cui ero prigioniero ho pensato a questi due uomini, tanto diversi – un genio snob della cultura novecentesca parigina, e un tragico nobile russo decaduto e morto alcolizzato, genio anche lui – che hanno potuto collaborare a distanza di tanto tempo e di tanto diverse matrici culturali.
I quadri di Hartmann illustrano ambienti e personaggi delle tradizioni popolari russe, ma anche scene infantili parigine, e terminano con un potente pezzo sulla “Grande Porta” nella capitale Kiev. Un monumento progettato dallo stesso Hartmann per commemorare il fatto che lo Zar Alessandro II era scampato a un attentato il 4 aprile 1866. Il progetto aveva vinto il concorso internazionale, ma non fu mai realizzato.
In questa musica l’”anima russa” si esprime in un linguaggio che l’arte – un’arte non per caso composta anche a quattro mani – rende universale.
Forse un modo per reagire alla tragedia assurda che minaccia Kiev, da parte di chi come noi non maneggia missili o giacimenti finanziari e energetici, può essere quello di cercare tutto ciò che testimonia il legame più forte tra culture e civiltà che ora sembrano votate a farsi la guerra.
PS) Come diceva l’ispettore Rock (citazione per i vecchi nostalgici di “Carosello”) «anche io ho commesso un errore” (in realtà, chissà quanti). Nella rubrica della scorsa settimana, sull’uso del maschile plurale cosiddetto dall’Accademia della Crusca “non marcato” nei testi giuridici, ho preso in esame, senza accorgermene, un testo del 2021, e non il comunicato specifico pubblicato quel giorno. Gli argomenti che suggeriscono di non utilizzare asterischi, schwa, o altri accorgimenti per ottenere una lingua più “inclusiva” a proposito di sessi e generi, erano per molti versi gli stessi. Tuttavia era doveroso segnalarlo, e scusarmi con lettrici, lettori e altr*.