Fogli A4 bianchi (per ricordare le vittime del rogo di Urumqi e per il bavaglio alla libertà di espressione); la canzone “Baraye” che piange “per mia sorella, tua sorella, nostra sorella”, tutte le ragazze dalle ciocche di capelli tagliate; animali domestici ritagliati nel cartone e tirati al guinzaglio nelle piazze. Oppure cortei, manifestazioni, striscioni, slogan, carri con la musica, scarpette rosse e ombrelli gialli: pratiche create dai tanti protagonisti delle proteste, soggetti dei movimenti di contestazione.
Anche le suffragette, tra il 1903 e l’inizio della Prima guerra mondiale, ebbero i loro metodi niente affatto femminili, ma dirompenti, inattesi: vetrine infrante nascondendo un martelletto nel manicotto, lancio di scure contro il primo ministro Herbert Henry Asquit, incatenamento ai cancelli per interrompere i comizi dei politici, bombe, cassette postali incendiate, digiuni, sofferenze.
Le avevano battezzate “guerrigliere” perché puntavano sui “fatti, non parole” e Paola Bono (ha insegnato Teatro inglese a Roma Tre, curato il teatro di Caryl Churchill, è tra le fondatrici della Società italiana delle Letterate) le racconta attraverso la lingua un po’ comica un po’ approssimativa dell’orfana Nellie, in Le mie suffragette (Iacobelli editore).
Una storia di lotte delle donne per ottenere il voto alle donne con La Women’s Social Political Union, battezzata il 10 ottobre 1903 da Mrs Emmeline Pankhurst, sostenuta dalle sue figlie Christabel e Sylvia, assieme alle Nelly, Costance, Ester, Eva, Kitty, cantanti di varietà, operaie, ladies, ricamatrici, artiste, che mai rimpiangono di essere nate femmine anche se “chiaramente gli uomini si considerano superiori alle donne” e tante donne, chissà perché, non hanno nulla da obiettare.
Non le associazioni suffragiste che le decisioni vogliono prenderle loro. Pretendono obbedienza dall’ “Esercito di volontarie” mentre, agghindate con i nastri color porpora, bianco e verde, danno un calcio alla pazienza, si ribellano, rifiutano l’obbedienza che le inchioda alla loro condizione e gli impone di “stare al proprio posto”. Bisogna, invece, buttare via “le idee convenzionali di quello che è perbene, di quello che una signora può o non può fare”.
Eppure signore lo sono immaginando un sesso per niente fragile, deciso a studiare come i maschi, che prenda in pubblico la parola e con il voto rimedi alle ingiustizie: le suffragette non infrangono le leggi ma “ci adoperiamo per fare le leggi”.
Se qualcuno dice: “Non vi diamo il voto per proteggervi in quanto sesso debole”, bé questo qualcuno dovrebbe spiegare perché invece questo sesso debole può lavorare in fabbrica fino a dodici ore al giorno.
I partiti, dai conservatori ai liberali e pure i laburisti, reagiscono al suffragio femminile con i classici comportamenti e le parole “as usual” dell’ordine patriarcale. Remano contro, irridono oppure promettono e poi dimenticano. L’avversario più brutale e odioso si chiama Winston Churchill.
Tuttavia, le manifestazioni si gonfiano di presenze femminili (anche maschi come George Bernard Shaw, che sostiene la causa) e le carceri si riempiono di donne che respingono il cibo. La risposta al digiuno consiste nella nutrizione forzata: “Soffocavo scossa dai conati, mentre il tubo mi veniva spinto giù fino allo stomaco e il cibo liquido scendeva, ma l’ho quasi tutto rivomitato quando mi hanno tolto la cannula”. La cannula non passa dalla bocca ma dalla narice.
Trattamento inumano, ripetuto decine di volte. Qualcuna ci muore. Eppure le donne affrontano la prigione con l’entusiasmo del martirio. La multa non la pagano; preferiscono comprarsi “un cappellino nuovo”. Lady Constance Georgina Bulwer-Lytton soffre per la diversità di accoglienza con la quale viene ospitata dietro le sbarre. Se gli abusi e le prepotenze colpiscono i poveri, le suffragette hanno capito che esistono altre prevaricazioni non riassumibili nelle diseguaglianze sociali e di classe.
Dovrà venire “il venerdì nero” in cui tante sono maltrattate, molestate, strattonate, picchiate, arrestate e poi la resistenza passiva al censimento, quando le donne non si fanno trovare a casa la notte del 2 aprile così da non essere contate, ancora la serra di orchidee bruciate a Kew Garden, le mummie fatte a pezzi al British Museum e molto altro prima dell’ottenimento del voto, nel 1928. Grazie alla forza delle donne. Di quelle donne che “niente vita di famiglia, nessuno a dirci cosa dovevamo o non dovevamo fare, eravamo libere e sole in una grande meravigliosa città, decine di giovani donne di nemmeno vent’anni che si incontravano in un movimento rivoluzionario, fuorilegge che trasgredivano ogni regola, indipendenti da tutto e tutti, senza paura e sicure di noi”.