Pubblicato sul manifesto il 20 settembre 2022 –
Avevo pensato di inventare per la parola del giorno un immaginario discorso di Enrico Letta. Mi si stringe il cuore, per dire così, quando lui – o per converso il capo di Sinistra Italiana Fratoianni – rispondono molto imbarazzati sul com’è che si ritrovano nella stessa coalizione, pur avendo avuto posizioni opposte su cosette come l’appoggio a Draghi, o la scelta di mandare armi all’Ucraina aggredita dalla Russia.
È vero che il “campo largo” evocato a lungo dal segretario del Pd è diventato poco più di una aiuola – per stare a un linguaggio agreste – ma perchè viverla per di più con così scarsa convinzione?
In un altro ben più corposo “partito democratico” non stanno forse insieme un tipo come Biden, la signora Clinton, il vecchio socialista Sanders, e femministe come Alexandria Ocasio-Cortez?
Quindi mi sarebbe piaciuta, qui da noi, una esplicita rivendicazione di “amicizia nella differenza”, almeno “in nuce”. Poteva annunciare un interessante cambio di cultura politica: non la vecchia ossessione per la dialettica di hegeliana, marxista e maoista memoria: gli opposti che si combattono fino a una superiore e unica mediazione. No, gli opposti che sanno convivere, non considerati “mutualmente esclusivi”, ma da mantenere tali e quali “nell’unità superiore della verità che rivelano”. Giacchè “l’esistenza inautentica si manifesta proprio con l’assenza, la paura e l’odio per le contraddizioni” (da Rachel Bespaloff, L’istante e la libertà. Saggio su Montaigne. Einaudi).
Avevo pensato. Ma ho lasciato perdere.
Trovo più interessante citare un appello ricevuto da un carissimo amico che investe parte del suo tempo nel lavoro insieme alle persone in carcere che agiscono per la dignità della loro condizione. E quindi anche per la nostra dignità di cittadini di uno Stato che si dice democratico.
Alcune di queste persone che hanno vissuto l’esperienza del carcere hanno scritto: “Non possiamo aiutarla, per questo chiediamo che qualcuno lo faccia al posto nostro. Siamo un gruppo di detenuti ed ex detenuti del carcere di Rebibbia. Non la pensiamo allo stesso modo su tutto. Per mille motivi – burocratici o per vincoli imposte dalle leggi – non votiamo, non possiamo votare. Non è l’unico, né probabilmente il più grave, diritto che ci viene sottratto”.
“Ed in un paese che ha archiviato senza troppi problemi le nove persone morte nel carcere di Modena perché chiedevano di essere protette dal Covid, probabilmente le nostre parole saranno ignorate. O derise. Come sempre è avvenuto. Ci proviamo lo stesso, però: chiediamo a chi ancora crede che sia scandaloso avere celle con sei persone, a chi ancora crede che una condanna giudiziaria non debba cancellare la dignità, a chi pensa che il carcere sia ormai diventato un “deposito” per gli ultimi della scala sociale, per chi prova orrore alla parola “punizione” invece di quella, più costituzionale, di reinserimento, a chi pensa che un’istituzione debba rispettare le scelte di genere di ogni singola persona; a tutti questi chiediamo di fare di tutto per portare Ilaria Cucchi nelle istituzioni”.
Il che significa votare per la lista Alleanza Verdi e Sinistra, che ha candidato Ilaria Cucchi per il Senato, e di conseguenza (la legge elettorale non consente alternative) per il candidato unitario nei collegi uninominali della coalizione che con il Pd comprende anche le liste Più Europa, di Emma Bonino e Benedetto Della Vedova, e Impegno civico, di Di Maio e Tabacci.
Capisco che si possa esitare. E per via del ragionamento sulla convivenza degli opposti non condanno certo chi farà altre scelte.
Per quanto mi riguarda accoglierò l’invito che viene da Rebibbia.