MEMORIA – Film di Apichatpong Weerasethakul. Con Tilda Swinton, Jeanne Balibar, Agnes Brekke, Daniel Giménez Cacho, Juan Pablo Urrego, Elkin Fiaz, Cina, Columbia, Francia GB, Messico, Qatar, Svizzera, Taiwan, USA 2021. Fotografia di Sayombhu Mukdeeprom, musica César Lopez.
“Memoria” è un film che sarebbe stato molto bello se non fosse stato girato con una lentezza esasperante perché ripreso in “tempo reale” come somma di vari piani-sequenza. Il regista è thailandese, noto per diversi altri film principalmente per “Tropical Malady”del 2004. Apichatpong Weerasethakul ha già vinto la Palma d’oro al festival di Cannes 2010 con il film “Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti”, e il premio giuria al festival di Cannes 2021 proprio con “Memoria”.
Il pensiero decisamente orientale del regista lo si riscontra nei suoi film: in “Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti” Weerasethakul aveva trattato il tema della reincarnazione attraverso il racconto degli ultimi giorni della vita di Boonmee, che esplora le sue vite passate mentre contempla le ragioni della sua malattia. “Tropical Malady” invece è stato tratto dal racconto dell’autore thailandese Doi Inthanon e dal film d’orrore di Jacques Tourneur, “Ho camminato con uno Zombi” del 1943. Al contrario, però del titolo del film degli anni Quaranta, il film di Weerasethakul si caratterizza, proprio per l’assenza di qualsivoglia mostruoso non-morto.
La trama di “Memoria” si può sintetizzare in poche righe: Jessica (interpretata da una strepitosa Tilda Swinton), è una botanica, vive a Medellin in Columbia, e non riesce più a dormire da quando è stata svegliata da un forte rumore, un botto metallico ricorrente, di cui non sa la provenienza. Va a trovare la sorella Karen (interpretata da Agnes Brekke) in ospedale a Bogotà, e lì fa amicizia con l’archeologa Agnes (interpretata da Jeanne Balibar), che studia i resti umani ritrovati negli scavi di terra per la costruzione di un tunnel. Da quel momento in poi è difficile capire/separare la sua vita presente da quella passata. Le memorie (o meglio i ricordi) le affiorano in testa come se empatizzando con i luoghi e identificandosi con le persone, riuscisse a vivere i loro ricordi come fossero suoi. O come se fossero i suoi sogni.
Jessica non dorme più, ossessionata da quel forte suono, un po’ terroso, di metallo, che cerca di riprodurre al computer con Hernán, il suo giovane amico tecnico informatico del suono (interpretato da Juan Pablo Urrego). Il tema del sonno è una costante del regista. Jessica non dorme mentre la sorella invece dorme sempre in ospedale e non ricorda cosa abbia detto da sveglia.
Bella è la scena in cui Jessica chiede una pasticca (Xanax?) alla dottoressa che la visita e da cui riceve un rifiuto all’uso della benzodiazepina, ma un incitamento alla vita e a credere in Gesù. Probabilmente la scienza lì non è poi così laica come si potrebbe pensare.
Ma anche il tema della compresenza tra presente, passato (e futuro) è costante nei film di Apichatpong Weerasethakul, così come il suo modo di girare a “quadri plastici” con la camera fissa. Così anche la scena interminabile del suo incontro con Hernán (lo stesso o un altro?) il pescatore/sciamano (interpretato da Elkin Diaz) – forse perfino alien – mostra l’interesse nei confronti della morte.
La donna ha un volto sempre più emaciato e sofferente: è una sorta di Alice nel paese delle Meraviglie che riesce a sentire e rivivere esperienze di altri, vissute in epoche diverse. Tilda Swinton è bravissima, nel suo espressionismo minimalista riesce a comunicare emozioni attraverso impercettibili variazioni dello sguardo.
Per il film “Memoria” il regista lascia la sua amata isola e ci presenta la Colombia, luogo denso di ricordi, di memorie, di archeologia… ma anche di speranza per il futuro.
La fotografia di Sayombhu Mukdeeprom è eccezionale, mostra paesaggi naturali montani strepitosi e la città di Bogotà è molto ben raccontata nei suoi luoghi vitali e non turistici (Università statale, Ospedale, Banche, ecc.), come ad esempio la Biblioteca Luis Angel Arango costruita nel 1958 presso la sede della Banca stessa (in quello che ora è il Ministero dell’Agricoltura colombiano), e dove la protagonista va a studiare. L’inusuale ubicazione di una capitale situata a più di 1.700 metri di altezza affascina il regista, che ne narra un clima tropicale alternando grandi piogge a giornate chiare, limpide e assolate.
In sintesi: un film intenso, impegnativo, adatto a un pubblico di nicchia.