I GIOVANI AMANTI – Film di Carine Tardieu. Con Fanny Ardant, Melvil Poupaud, Cecile de France, Florence Loiret-Caille, Sharif Andoura, Sarah Henochsberg, Manda Touré, Salma Lahmer, Francia Belgio 2021. Musiche di Éric Slabiak, fotografia di Elin Kirschink.
Il film “I Giovani amanti”, sceneggiato da Carine Tardieu assieme a Raphaële Moussafir, nasce da un’idea di Solveigh Anspach, la regista franco-islandese morta nel 2015 ed è tratto da una storia vera. Così racconta Carine Tardieu: «Volevo tanto lavorare con Agnès De Sacy [la sceneggiatrice di Anspach], con la quale Solveigh aveva cominciato a pensare alla sceneggiatura, al che lei mi propose di dare un’occhiata al progetto incompiuto: era la storia d’amore che la madre della stessa Sólveig aveva vissuto in età avanzata con un dottore molto più giovane di lei. Questa storia aveva commosso Sólveig a tal punto che per lei era inimmaginabile non trasporla sul grande schermo… Abbiamo mantenuto [con Raphaële Moussafir] l’essenza del film, parte della trama, le caratteristiche di alcuni personaggi, alcune scene centrali… Abbiamo perfezionato e sviluppato il personaggio di Georges, il migliore amico di Pierre, e totalmente reinventato quello di Jeanne, la moglie di Pierre… inoltre, ci siamo immaginati un prologo nel quale viene piantato il seme di questo incontro amoroso».
Vediamo di che si tratta. Nel 2006 all’Ospedale di Lione, Shana (interpretata da Fanny Ardant) incontra per la prima volta Pierre (interpretato da Melvil Poupaud) che si sta prendendo cura di Matilda, la sua amica del cuore, malata terminale. Lui è un attento oncologo, molto accudente nei confronti dei suoi malati, ama il suo lavoro che porta avanti con scrupolo e desiderio di sperimentazione. Pierre e Shana si parlano, bevono una cosa insieme, e si guardano intensamente.
Si rincontreranno solo nel 2021 in Irlanda dove Pierre va ad accompagnare Georges (interpretato da Sharif Andoura), figlio della defunta Matilda. Insieme saranno ospiti di Shana nella sua casa sul mare. Lei è di origini irlandesi, vive a Parigi ma va lì per ritemprarsi ogni tanto. È un architetto che in passato ha lavorato tanto e con successo. Ha una figlia quarantenne (Florence Loiret-Caille) che vive per conto suo. Piove, il caminetto è accesso, si sente fuori il rumore del mare: Pierre e Shana si raccontano, si guardano, si piacciono.
La casa tradizionale di pietra non ha nulla che faccia supporre il mestiere di lei, solo un disegnetto appeso che fecero Shana e Matilda insieme. È probabile che la scelta del mestiere di architetto sia dovuta prevalentemente per accentuare il contrasto tra una vita spesa alla ricerca del bello, e il mondo della medicina, in particolare della oncologia, dove la sofferenza è una costante e la morte è sempre in agguato.
Da lì in poi c’è tutta una escalation del desiderio dei due protagonisti con tentennamenti iniziali, giochi di sguardi, corteggiamenti. Lei è schiva, si sente inappropriata, ha un’età per la quale potrebbe benissimo essere la madre di Pierre. Ma poi, una volta che tutti e due hanno ceduto, la passione divampa sconvolgendo entrambe le vite. In quella di lei, malata di Parkinson ai primi stadi, l’innamoramento è una specie di luce che le illumina un percorso di solitudine e da troppo tempo Shana viveva ripiegata su stessa. Ritrova il sorriso e la gioia di vivere. Lui ha una moglie molto bella (interpretata da Cecile de France), una figlia diciottenne e un figlio maschio ancora bambino e, alla fine, le sue continue fughe d’amore tra Lione e Parigi lo costringeranno alla separazione. Andrà a vivere da George che lo ospiterà anche se non del tutto convinto di cosa stia combinando il suo amico.
L’intreccio amoroso si complicherà poi con il peggiorare della malattia di Shana, che a questo punto vorrebbe lasciare Pierre e fargli vivere tranquillamente “la sua vita” di cinquantenne senza obbligarlo a doversi prendere cura anche del suo male. Come andrà avanti il rapporto d’amore però lo lascio allo spettatore.
La regista dà sempre una grande importanza sia alla fotografia (Elin Kirschink), sia alla colonna sonora dei suoi film. Gli incontri e le separazioni avvengono sempre sotto una pioggia scrosciante che sia a Parigi o in Irlanda. Per la terza volta Tardieu incarica Éric Slabiak di scrivere musiche originali. Il musicista aveva già collaborato con lei per i film “The Dandelions” del 2012 e per “Toglimi un dubbio” del 2017. La colonna sonora include anche altri pezzi noti come Le premier bonheur du jour di Françoise Hardy o classici come un Notturno di Chopin.
C’è una scena molto bella dove la musica ha il ruolo di protagonista e che la stessa regista racconta così: «…Pierre, di passaggio a Parigi, non è sicuro di voler contattare Shauna, la musica che proviene da un pianoforte a disposizione del pubblico alla Gare de Lyon influenza il suo stato d’animo e lo convince a passare all’azione, a chiamarla. Segue una corsa che avvicina i due a ritmo di musica, rappresentata in immagini dall’inquadratura delle mani della giovane pianista che si è appropriata dello strumento… Perciò Eric ha composto, per le riprese, quello che sarebbe diventato uno dei temi principali della pellicola e che avrebbe dettato la linea di montaggio per la scena. Inoltre, al montaggio, Christel [Dewynter] non ha esitato a sovrapporre a certe scene delle sequenze musicali preesistenti che non erano emerse durante la preparazione. Ovvero due assoli di chitarra che creano una suspense romantica decisamente appropriata ai toni melodrammatici del film e da cui Eric ha tratto ispirazione. Questo film è in equilibrio su un filo teso sopra l’amore (e quindi la vita), il tempo che passa e la morte onnipresente».
Il film è stato presentato in concorso alla Festa di Roma 2021. È dichiaratamente romantico, un po’ in linea con un certo cinema francese. In fondo la stessa Fanny Ardant è stata un’attrice icona di Truffaut: la ricorderemo sempre come l’affascinante signora della porta accanto che non sa vivere “Né con te né senza di te”.
In “I giovani amanti” c’è anche un riferimento esplicito a Claude Lelouch in una scena dove Shanna con figlia e nipote guardano sul tablet “Un homme qui me plaît”, film del 1969 con gli attori Annie Girardot e Jean Paul Belmondo.
Devo fare un paio di appunti: nell’intreccio della storia l’intromissione della moglie Jeanne nel rapporto dei due amanti rende il tutto irrealistico. Sembrerebbe che tutte le persone della vicenda pensino solo al bene degli altri prima che a se stessi, o addirittura, contro i propri interessi. Inoltre, se Carine Tardieu non ci avesse inserito il cancro, il Parkinson e il bambino morto dopo pochi mesi, il film sarebbe stato lo stesso intenso ed emozionante.
L’atra riflessione è sulle bellissime ambientazioni del film che però mi lasciano perplessa. Come mai una famiglia di medici (quindi benestanti) vive in un appartamento così modesto in una zona periferica di Lione? E come mai – se non fosse per un paio di sedie Breuer – le abitazioni di Shana non hanno nulla della casa di un architetto? Sono piene di oggetti, stracariche di mobile e tradizionali, sembra che non abbiano proprio nulla di progettato.
Per contro, va segnalato un vezzo della regista che fa dire alla bambina indiana nata a Chandigarh, nell’India settentrionale: «Mio nonno ha conosciuto le Corbusier… gli ha pulito le scarpe».