Il passato che si specchia nel presente, attraversando storia e storie senza escludere gli scarti, i dati personali, quelli più o meno marginali.
“La penultima illusione” di Ginevra Bompiani (Feltrinelli) corre per 319 pagine con passi ora veloci, ora più lenti ma nella convinzione di dover tenere insieme gli anni dell’infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia.
Figlia di un grande editore italiano (sua l’idea dell’Almanacco Bompiani, suo il sostegno alla rivista di teatro “Sipario” e la scoperta dei tanti, fondamentali autori italiani e stranieri), cresce in un ambiente dove si convince del valore delle relazioni e dei conflitti relazionali senza sottrarsi al Sessantotto, al femminismo oltre a coltivare fini ideali che si imbattono nella sinistra.
Insegna all’Università di Siena; fonda la casa editrice Nottetempo e ai libri d’altronde è affezionata scrivendo, traducendo, riconoscendogli valore con la biblioteca di Serajevo, e in Mauritania.
Ginevra Bompiani impasta sentimenti di affetto, rabbia, potere, dolcezza. Succede quando si prende cura del legame con N. la ragazza somala che ha viaggiato attraverso il deserto e poi in Libia e che qui, a Roma, si aggrappa alle sue radici, alla sua storia, cocciutamente, liberamente.
Sono due biografie, due storie che nei mesi della pandemia si tengono insieme in compagnia delle proprie differenze: impresa difficile sempre, tra madre e figlia; tra amiche; tra compagne. D’altronde, l’autrice non evita di andare incontro a prove faticose.
C’è una misura smisurata, capace di farla restare in equilibrio: limitarsi e non invadere.
Leggendo il libro, capisci che l’impasto fra tempo, luoghi e persone torna nelle pagine assieme alla decostruzione e ricostruzione della memoria. Senza sfuggire alla malinconia, sperimentata in questi due anni di Covid per la separazione dei corpi, per la disperazione di fronte alla vecchiaia condannata.
Grazie alla scrittura Ginevra Bompiani dice di sé. Con il piacere della provocazione, l’ammissione della superbia, la civetteria del giudizio perentorio, l’ingenuità della baldanza eccessiva. ”Certo che stai con i braccianti, ma ceni con i latifondisti”.
Guerriera decisa a seguire il principio del “meglio fare e pentirsi che non fare e pentirsi”, pronta a lanciarsi contro le ingiustizie, procede dietro lo scudo di una spavalderia infantile e di un uso sapiente della lingua; d’altronde, non solo lei è attratta dall’oralità, dal modo di produrre cultura attraverso le parole che tra gli altri hanno avuto due griots del nostro tempo: Silvana Mauri e Paolo Fabbri.
C’è ancora un elemento da non dimenticare nella lettura della “Penultima illusione”: quella possibilità di aprirsi a un finale sospeso ma proponendosi come una medicina contro la paura. E contro l’obbedienza.