Mélanie Bonis
Mel Bonis, chi era costui? O forse era una costei?
Mel in effetti sta per Mélanie, una donna di modeste origini borghesi, che si scoprì presto una passione e un genio per la musica, arrivò a studiare al Conservatorio di Parigi con César Frank, e fu collega di armonia e composizione di Debussy. Ebbe il torto di innamorarsi di un giovane poeta, di cui musicò i versi.
La famiglia reagì obbligandola a lasciare il Conservatorio e a sposare un signore di 25 anni più anziano, già padre di 5 figli. Mélanie fu brava moglie e madre di altri tre figli. Ma non rinunciò alla musica. E nemmeno al primo amore. Reincontrato il poeta amato riprese a comporre, ispirata da lui e non solo. Con quel breve nome maschile. Ma l’amore, da cui nacque una bambina mai riconosciuta, si trasformò anche in senso di colpa, e in una vita segnata dalla depressione. Che non spense, mai, però, il genio creativo della compositrice.
Questa storia (Mélanie Bonis è vissuta dal 1858 al 1937) è indicativa di una condizione, durata secoli, in cui alle donne non era riconosciuta, se non in circostanze eccezionali, la stessa libertà degli uomini. E si coltivavano assurdi pregiudizi su ciò che una mente femminile poteva creare.
Non vale solo per la musica. Ma qui forse la rimozione è stata più forte che altrove: per esempio nella letteratura.
Oggi succede che una romanziera spagnola di successo, tale Carmen Mola, quando riceve un premio, si scopra essere pseudonimo di ben tre autori maschi, che non hanno esitato a passare per una femmina. Sono altri tempi. Cambiati proprio dalla rivoluzione delle donne. Ma non ancora del tutto, se, secondo recenti ricerche su 1.768 concerti in Europa si registrano solo 30 brani di compositrici. E la SIAE documenta che su 3.524 lavori solo 82 (il 2,3%) è firmato da donne.
I dati sono nel libro pubblicato (2021) dalla Società Editrice di Musicologia “
Musiciste e compositrici. Storia e storie”, a cura di Luca Aversano, Orietta Caianiello e Milena Gammaitoni. È il primo della collana “voci di musiciste”. Le due curatrici e il curatore hanno animato, con altre e altri, a Roma dal 2015, edizioni annuali del Festival “Le Compositrici” e delle giornate di studio “Le Musiciste”, con il coinvolgimento dell’Università Roma Tre, del teatro Palladium, e in una prima fase anche della Scuola popolare di muisca del Testaccio.
Il volume contiene molti saggi, con un approccio sociologico. Vi si può scoprire che già nella Roma antica Catullo, Ovidio e Tibullo lodavano le
doctae puellae, donne colte e spregiudicate che eccellevano anche nel canto e nel suono degli strumenti. Ancora guardate però con pregiudizi dalla tradizione: troppa creatività non si addiceva alla brava matrona. Si ripeterà nel tempo, e nelle classi agiate e colte, il modello di una emancipazione artistica femminile sorretta anche da forme di prostituzione di
elite. Oppure una specie di suo contrario, come si vede nel Seicento e Settecento negli ospedali e conventi veneziani e napoletani, dove con maestri come Vivaldi e Porpora, venivano accolte trovatelle poi iniziate all’arte musicale.
Non poche, rotti i vincoli di castità, divennero star nei salotti europei. Ma chi si ricorda di quei nomi, chi esegue le loro musiche?
Oggi una forma di ribellione vuole riscrivere la storia abbattendo le statue degli oppressori. Non ha più senso riportare al mondo chi è stato costretto nell’ombra?
Ascoltiamo la musica di Mel Bonis: le malinconiche melodie della
Sera, il ritmo e le svelte scale armoniche del
Mattino (
Soir et Matin, per piano, violino e violoncello: eseguiti dal trio Domus – Orietta Caianiello, pf; Paolo Andriotti,vc; Filippo Fattorini, vl.
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