Quando esce Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (1986) e, un anno dopo, Il sessismo nella lingua italiana non è il silenzio o l’accettazione morbida ad accogliere i due testi. Al contrario, esplode una tempesta di dileggi, prese in giro, recriminazioni; protestano uomini e donne.
“Ministra o minestra?” chiede all’incolpevole Margherita Boniver il leader della Lega di allora, Umberto Bossi. L’architetta, la vigile si risentono quasi che l’articolo gli avesse strappato di dosso la copertina rassicurante del quasi neutro, in realtà maschile. Temono forse la smentita di un (faticoso) percorso di emancipazione.
A sconquassare i giochi, a rovesciare equilibri, situazioni, stereotipi, opinioni, sentimenti una piccola signora bien rangée, decisa a ricordarci che nessun linguaggio è innocente. E nessuna società può svincolarsi superbamente dal linguaggio.
“Quando io uso una parola – disse Humpty Dumpty in tono alquanto sprezzante – questa significa esattamente quello che decido io, né più né meno”. Bisogna vedere se lei può dare tanti significati diversi alle parole disse Alice.
“Bisogna vedere – disse Humpty Dumpty – chi è che comanda. Sta tutto lì”.
Se certo il potere sta nelle mani di chi comanda, Alma Sabatini con il Sessismo nella lingua italiana (edito per iniziativa della presidenza del Consiglio dei ministri e della Commissione nazionale per la parità tra uomo e donna, composto con la collaborazione di Marcella Mariani e la partecipazione alla ricerca di Edda Billi e Alda Santangelo) riesce a aprire delle fessure nell’arroganza del sesso maschile.
Ora il Centro Internazionale Alma Sabatini, fondato nel 1999, ha ripreso i suoi lavori intorno alla lingua, alla documentazione e alla “promozione del pensiero e della cultura femminista” anche attraverso i Quaderni di Alma Sabatini.
Scrivendo sulla sua figura, Maria Rosa Cutrufelli sottolinea che “è stata la prima, in Italia a indicare una connessione fra il linguaggio e il sessimo“.
Quel sessismo che si trova nelle definizioni della donna come la femmina dell’uomo riportate da Giulia Caminito. Alessandra Pigliaru descrive Alma Sabatini come “una donna la cui passione per la politica delle donne e per il femminismo è stata da sempre implicata al suo impegno didattico e di ricerca verso il linguaggio”.
Bianca Maria Pomeranzi ricostruisce con sapienza di immagini il passaggio politico-culturale che vede il radicarsi del femminismo in Italia e lo scontro tra quante difendono la loro presenza nei partiti e quante intendono operare un taglio con le organizzazioni maschili. Separatismo e/o rivoluzione?
Il conflitto si precisa quando Kate Millet chiede a Alma Sabatini di organizzare, dopo la sua espulsione dall’Iran, una conferenza-stampa a Roma. A chiamarla in Iran erano state le iraniane per festeggiare la cacciata di Reza Palhevi. Ma alla scrittrice americana il chador imposto dall’Ayatollah che minaccia le manifestazioni delle donne (vi ricorda qualcuno?) pare un simbolo di sottomissione femminile. La conferenza-stampa non chiarisce il problema delle differenti culture né quello delle pratiche femministe transnazionali.
Ancora, i Quaderni propongono una rubrica curata da Sara De Simone con interviste per confrontare differenze e similarità di una coppia di intellettuali (qui le scrittrici Maria Attanasio e Laura Pugno).
Certo, l’impresa di Alma Sabatini incontra ostacoli. L’abbiamo detto: non tutte le donne sono felici per l’articolo “la” o per l’aggiunta del suffisso al femminile nella declinazione dei nomi, nell’indicazione delle professioni.
Secondo queste donne probabilmente non è buona cosa che in una società divisa dalle classi, dal possesso, dal modo di abitare, di lavorare, siano anche i sessi a dividersi.
Eppure, la parola parlata, il barthiano “brusio” della voce, disegna un grande progetto, quello di far emergere la differenza. E di attribuire un corpo, una sessualità, delle parole a colei che tace; colei che viene censurata.
Dal momento però che nuovi soggetti rivendicano riconoscimento, la lingua deve registrarne l’esigenza. Lo suggerisce (nei “Quaderni”) Laura Fortini quando illustra il difficile equilibrio nelle università italiane tra inclusione e “irriducibilità della differenza”.
In effetti, proprio l’inclusione di chi per via di uno schema binario (maschile-femminile) si considera fuori dal linguaggio, trascina con sé la sostituzione delle desinenze con asterischi o vocali cosiddette neutre come la “u” oppure con lo scevà o schwa, ossia con la “e” rovesciata.
Operazione di difficile comunicabilità e comprensione se a qualcuno venisse in mente la lettura di un testo con asterischi.
Anche se nel Mezzogiorno circolano parole che finiscono con una consonante, ammettono nuclei vuoti finali oppure ricorrono allo schwa:
esempio eclatante: è “nu strunz” oppure “o squal” nel detto “Dicette ‘o ciciniello vicino ‘o squal: pur’io so pesce”.
Il punto è che le regole del linguaggio e delle convenzioni esistono e chissà se includendo a forza le differenze grazie a un asterisco non si finisca per irrigidire la lingua an/negandone la ricchezza.