UNO DI NOI – Film di Thomas G. Besucha. Con Kevin Costner, Diane Lane, Lesley Manville, Will Britain, Kayli Carter, Jeffry Donovan, Booboo Stewart, Ryan Bruce, USA 2020. Fotografia di Guy Godfree, musica di Michel Giacchino.
“Let him go”, il titolo originale del film, è un western-melodramma retrodato di più di mezzo secolo e liberamente tratto dal romanzo omonimo di Larry Watson. È il primo western del regista Thomas G. Besucha, che aveva già girato The Family Stone (2005) e Monte Carlo (2011).
Il vero protagonista di “Uno di noi” è il paesaggio naturale a nord degli Stati Uniti: si passa dal verde panorama del Montana a quello più roccioso del Nord Dakota.
Siamo, dunque, nel Montana nei primi anni ’60 e lì vivono gli Blackledge, una coppia formata da George (interpretato da Kevin Coster), un ex sceriffo in pensione, e la moglie Margaret, (interpretata da Diane Lane) una ex domatrice di cavalli, con il figlio James (Ryan Bruce), sua moglie Lorna (interpretata da Kayli Carter) e Jimmy, il loro neo-nato. Una brutta caduta da cavallo uccide James sul colpo e dopo circa un paio di anni lei si risposerà con Donnie Weboy (Will Britain).
I tre inizialmente vanno a vivere nella città più vicina poi si trasferiscono all’improvviso, senza avvertire i Blackledge, dalla famiglia di lui nel Dakota. Preoccupati Margaret e George partono e si mettono sulle tracce della famiglia Weboy con l’idea di chiedere a Lorna di affidare a loro il nipotino. Li troveranno, dopo parecchio tempo, in un ranch vicino Gladstone in Nord Dakota.
Fin qui tutto bene, ma più si va avanti più si scopriranno cose inquietanti sulla famigerata famiglia costituita da Blanche, la madre, tre figli e un cugino. I Weboy si riveleranno dei cattivissimi, rozzi e violenti montanari guidati da una perfida matriarca, a formare una sorta di clan di Ma’ Barker.
Bella è la scena del pasto dove si sfidano le due donne: la virago Margaret, che è una tosta, è invitata a una cena a base di bistecche di maiale dal suo alter-ego la cattivissima Blanche che – come una madre coraggio al negativo – ha l’unico credo della propria sopravvivenza e dei suoi figli.
Poco a poco il film si trasforma in crescendo in una battaglia senza fine. Riusciranno i nostri a salvare il piccolo? E a quale prezzo?
Bella è la fotografia di gusto iperrealista come le immagini delle scarne e vuote main street degli insediamenti urbani. In questi scenari desolati i personaggi sembrano essere perennemente stranieri, di passaggio, alla ricerca della propria identità e se non sono fermi ad aspettare un cambiamento, sono in viaggio alla ricerca di qualcosa che modifichi le loro esistenze. Molti quadri e parecchi film statunitensi di quegli anni ’60 presentano vari elementi essenziali del linguaggio figurativo iperrealista: un’osservazione fotografica dell’oggetto, uno stile freddo e il più possibile oggettivo, una grande attenzione ai dettagli, un assoluto distacco psicologico dall’oggetto con la conseguente eliminazione delle scelte personali e soggettive. Quando il paesaggio è desertico ha la funzione di sottolineare l’alienazione dei personaggi ed il loro senso di intima solitudine in un vuoto aleatorio e nell’eco di un silenzio metafisico; nelle immagini territoriali le strade solcano i deserti e le oasi sono costituite da stazioni di servizio. Quando invece, l’ambientazione è urbana, la particolarità del paesaggio è rappresentata da motels, case a schiera o pubs.
Bravi gli attori e ancora bellissima Diane Lane. “Uno di noi” è un film che rientra in pieno nella tradizione western – c’è anche l’indiano in crisi di identità – e Kevin Costner, rimontando a cavallo con energia, ritrova lo smalto degli esordi e dei suoi primi successi (“Balla coi lupi” del 1990).