LA FINE DI UN’EPOCA MERAVIGLIOSA – Film di Stanislav Govorukin. Con Ivan Kolesnikov, Svetlana Khodchenkova, Serghey Garmash, Fedor Dobronravov, Dmitriy Astrakhan, Boris Kamorzin, Lembit Ulfsak, Dmitriy Endaltsev. Fotografia di Gennadij Kariuk. Musica di Artem Vasiliev.
Il Centro Russo di Scienza e Cultura a Roma nel bel Palazzo di Santacroce a Regola di Carlo Maderno (oggi Palazzo Pasolini dall’Onda) ha sostituito, in un certo senso, quello che per tanti anni è stato il ruolo di Italia-URSS. Organizza corsi di lingua, eventi culturali, viaggi, concerti ecc. Il suo compito è quello di rafforzare i legami bilaterali Russia-Italia nella sfera culturale, di promuovere contatti e collaborazione nell’ambito della scienza e dello sport, di dare sostegno ai connazionali russi residenti in Italia; tutte attività che svolge in collaborazione con l’Ambasciata della Federazione russa, in Italia.
Ieri, dopo il lungo periodo di clausura, è stato proiettato “La fine di un’epoca meravigliosa” del 2015, un film molto interessante del regista Stanislav Govorukin, scomparso nel 2018 e che avrebbe compiuto 85 anni da pochi mesi. Questo regista è considerato un grande maestro del cinema sovietico e russo e ha riscosso numerosi successi di pubblico e di critica con le sue opere “Verticale” (1967), “Esplosione bianca” (1969) e “L’appuntamento non può essere cambiato” (1979), forse il suo film più famoso, oltre ad alcune serie televisive con protagonista il cantante Vladimir Vysotskij.
La pellicola di cui parliamo è considerata un capolavoro tardivo del regista, la sua ultima opera cinematografica di cinquantacinque che compongono la sua carriera. Il film è stato girato tutto in bianco e nero e la sceneggiatura è stata scritta sulla base della novella biografica di Serghey Dovlatov (tra gli autori della cosiddetta nuova Anti-nomenklatura) dal titolo Il compromesso, che racconta dell’epoca nella quale lottavano per il diritto ad essere sentiti nonostante i divieti e il controllo globale. Pertanto quella rappresentata è la fine di una stagione, una fase nella quale si viveva con grandi aspettative ma anche con le paure e che, nonostante tutto, è considerata bella.
Il film è divertente e ha una sua ironia fatta di frecciate taglienti scagliate ad arte verso i piccoli e grossi burocrati tardo comunisti. Per tutto il film è palese l’esistenza di un alter ego – che sono gli Stati Uniti d’America – sottolineato bene dalla scelta dei brani musicali. Siamo nella seconda metà degli anni ’60 all’epoca di Leoníd Il’íč Breznev in piena “competitività spaziale” del progresso tecnologico: dopo il primo uomo mandato nello spazio dai sovietici (Jurij Gagarin nel 1961), gli USA hanno mandato il primo uomo sulla luna (Neil Armstrong nel 1969).
Andrey Lentulov (intertpretato da Ivan Kolesnikov) il protagonista, scrittore e giornalista – come il suo collega americano Bukowsky, compagno ideale di bevute – affronta la quotidianità della redazione di un giornale russo a Tallin. Scrive articoli, non solo sugli argomenti retorici che gli sono affidatati dal Direttore, ma anche su quelli che sviscerano con lucidità la vita piccolo borghese, e i piccoli drammi ridicoli dei colleghi che, ben lungi da condizionamenti politici, interpretano la realtà con occhio disincantato.
Il regista, che è anche lo sceneggiatore, prende in giro gli uomini e il loro rapporto con l’alcool e con le donne. Ma è anche critico con le ragazze superficiali e con il loro facile rapporto con il sesso. Emblematico è l’episodio dell’albergo – gestito da due belle ragazze estoni collaboratrici del giornale – vicino Mürgi al confine con la Lettonia (sempre URSS all’epoca). Andrey Lentulov, il suo amico fotografo Genrikh Frantsevich Turonok e le due ragazze, fanno tutti e quattro la sauna immersi nella natura e poi si gettano nell’acqua fredda del fiume, come da tradizione nordica.
Molto belle sono le scene che mostrano Tallin con le strade strette del centro storico in contrasto con l’imponente cinta muraria medioevale turrita.