MARX PUÒ ASPETTARE – Film di Marco Bellocchio. Con Marco Bellocchio, i fratelli Piergiorgio, Alberto, Marco, Maria Luisa e Letizia, e i figli Pier Giorgio ed Elena, Italia 2021. Fotografia di Paolo Ferrari, montaggio di Francesca Calvelli.
La famiglia, e i difficili e complicati rapporti fra i suoi membri, sono le tematiche trattate da Marco Bellocchio in tutti i suoi film.
Con “Marx può aspettare” il regista piacentino confeziona un emozionante film-documentario che traccia la storia del suo bellissimo gemello che si è ucciso a 29 anni, il 27 dicembre del 1968.
La madre ipercattolica, rimasta vedova purtroppo troppo presto, ha dovuto crescere sette figli di cui cinque maschi e due femmine (Paolo, Tonino, Piergiorgio, Alberto, Marco e Camillo, Maria Luisa e Letizia). Tra questi Paolo, che aveva un grosso problema psichiatrico, e Letizia, che era nata sordomuta.
Nel montaggio sono inserite alcune sequenze di vecchi film girati da lui stesso e che sottolineano questa sua ossessione: il senso di colpa di non aver capito la profonda sofferenza del fratello, di non averlo compreso e, forse, di non averlo amato sufficientemente.
Spesso nei film di Bellocchio è presente il tema del suicidio da “Salto nel vuoto” del 1980, “Gli occhi e la bocca” del 1982, a “Regista di matrimoni” del 2006.
In “I pugni in tasca”, Augusto è il figlio maggiore di una famiglia disastrata che include una madre non vedente, una sorella egoista e due fratelli epilettici, mentre in “L’ora di religione – il sorriso di mia madre” del 2002 la madre è stata assassinata dal fratello con turbe psichiche.
Così racconta il regista: «È vero, questo film è il mio modo di far entrare gli altri nella mia storia, a casa mia. Forse per questo mi agita un po’ l’idea di mostrarlo al pubblico. E lo faccio oggi… Il tempo è importante. Il momento lo è. In passato ho avuto anche tensioni forti coi miei fratelli che pensavano di essersi ritrovati troppo nei miei film, quando invece non era così… Altre volte, come nel mio primo film I pugni in tasca, hanno capito in ritardo che parlavo di loro e di me stesso. Qui, adesso, ci sono tutti. Con la massima libertà. I miei fratelli e sorelle… Anche la sorella della fidanzata di Camillo che abbiamo ritrovato all’ultimo momento».
Il film-documentario è un atto d’accusa – verso se stesso e anche verso gli altri fratelli – ma nel contempo è un gesto liberatorio nel dichiararlo apertamente. A tale scopo mette insieme interviste fatte, dal 2016 a oggi, ai fratelli sopravvissuti.
Così Piergiorgio – l’intellettuale della famiglia fondatore di Quaderni Piacentini – racconta di essere tornato da Milano a Piacenza quando seppe della “disgrazia” di Camillo, mai pensando che si potesse essere suicidato. Il fratello Alberto, il sindacalista, ricorda invece il lato ironico e divertente del fratello, raccontando le sue battute e le sue prese in giro. Belle anche le testimonianze delle due sorelle Maria Luisa e Letizia, diverse ma legatissime. Letizia in particolare, nonostante sia credente, si chiede come, nell’aldilà, sarà possibile rincontrare mamma, Camillo e gli altri cari che non ci sono più tra miliardi di persone.
Ospite nel film al di fuori dei parenti stretti è Luigi Cancrini il famoso psichiatra che ha militato nelle file del PCI – e ha fondato il Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale, una delle più importanti scuole di Psicoterapia in Italia, di cui è Presidente.
C’è anche Gianni Schicchi nel film, l’attore piacentino amico di Bellocchio che ne “I pugni in tasca” ha interpretato il ruolo del venditore di cincillà – il percorso di una giovinezza inventata e di un’adolescenza inquieta.
Un’altra bella figura è quella del prete gesuita, scrittore e critico cinematografico di “La Civiltà Cattolica”, padre Virgilio Fantuzzi, che legge nel cinema di Bellocchio una vera e propria confessione: lo schermo è la grata del confessionale e lui è pronto a dargli l’assoluzione perché ne comprende il pentimento.
Dure invece le parole della sorella di Angela, la fidanzata del fratello suicida. Fa notare come nessuno abbia cercato di sapere di più di Camillo interrogando la ragazza che gli ha voluto bene e che lo ha frequentato di più negli ultimi anni. Sostiene, inoltre, che i membri della famiglia Bellocchio hanno ignorato Angela perfino al funerale, proponendole solo in un secondo momento, di tenere la macchina Fiat che era di Camillo (e che lei ha rifiutato).
Il malessere profondo di Camillo probabilmente era dovuto a un confronto perdente con i fratelli: andava male a scuola, spesso era respinto. Da ragazzo sembrava fare una vita da “vitellone” di provincia insieme ad altri ragazzi di Piacenza. È stato l’unico tra i fratelli che ha fatto il militare, ma forse era contento di non dover prendere decisioni per la sua vita e di rimandare le scelte di un paio d’anni.
Come si può competere con un famoso intellettuale come Piergiorgio, o con uno stimato regista vincitore di premi (a Locarno per “I pugni in tasca” e a Venezia per “La Cina è vicina”) come Marco?
Il bel Camillo, che aveva sempre uno sguardo malinconico anche se sorrideva, aveva finito per fare il professore di educazione fisica in una scuola, dopo aver studiato per geometra senza un particolare interesse. I fratelli pensavano si fosse “sistemato”.
Marco, che in quanto gemello avrebbe dovuto capirlo di più, proprio in quegli anni ’60 gli parlò di impegno politico e sociale al quale Camillo rispose: «Marx può aspettare», frase epica che è diventata il titolo.
Il film è stato presentato, fuori concorso, al Festival di Cannes quest’anno dove Marco Bellocchio ha ricevuto la Palma d’oro onoraria.