Ho iniziato questa rubrica – non dico quanto tempo fa – evocando il silenzio grazie a un piccolo intenso libro consigliato da Mario Tronti (forse me lo ha fatto venire in mente uno scambio di mail in margine ai suoi 90 anni): Tacet, di Giovanni Pozzi (Adelphi, 2013).
Perché ancora una volta il silenzio?
Non è tanto il desiderio di appartarsi da rumori troppo intensi e molesti. La pandemia ci ha abituati a isolarci, a riflettere più o meno malinconicamente sulle cose che non vanno, sulle paure, i dissensi che degenerano in risse, sulla sfiducia che si possano aprire cambiamenti realmente positivi.
È la ripetizione confusa delle stesse parole sul virus e su quello che determina, ora sembrando dileguarsi ora tornando mutato e più minaccioso di prima, che infastidisce. Tanto più quando una frase, una affermazione, si isola e si staglia sul mare ondivago dei pareri contrastanti. Come quando sul ronzio mite degli archi si alza un assolo perentorio della tromba.
Ecco il solista Draghi: “Gli appelli a non vaccinarsi sono appelli a morire (…) o a far morire…”. La frase è la risposta a una domanda sulle dichiarazioni di Salvini che tornavano a escludere i vaccini per le persone più giovani, e comunque a tutelare chi il vaccino proprio non vuole farlo. Più d’uno ha applaudito: il misurato presidente del Consiglio è capace di rispondere “da par suo” al capo della Lega, il chiacchierone che dovrebbe sostenere il governo e invece non lo fa in modo chiaro.
Una nota certo molto forte, ma anche stonata.
Avrà funzionato per rimettere (momentaneamente?) al suo posto il facondo Salvini. Ma alle inquietudini che si allargano dietro le altre fanfare suonate in tante piazze italiane, e di molti altri paesi “avanzati” (libertà! Libertà!… contro l’obbligo, di fatto, a un certo trattamento sanitario) non credo sia giusto, e nemmeno utile, rispondere con un tale perentorio aut-aut di ordine morale.
Forse l’autorevole e cattolico uomo Draghi, come individuo, in dialogo con altri individui, potrebbe permetterselo. Ma come esponente istituzionale che parla “al popolo” ne dubito fortemente: le istituzioni della politica, della scienza, dell’informazione non hanno proprio tutte le carte in regola per pretendere consenso alle loro scelte invocando la morale. Anche se non si dubitasse della correttezza di quelle scelte.
Sui vaccini abbiamo ascoltato di tutto e il contrario di tutto. Sembra credibile che non si sappia ancora bene quali effetti potranno avere nella lunga durata sui nostri organismi farmaci basati su nuove tecnologie molecolari e testati per periodi molto brevi. Un rischio che personalmente ho accettato, anche perché ho già vissuto buona parte della vita. Ma a chi dubita non me la sento di replicare: parli da suicida o assassino. Su tutto domina poi la logica del profitto. E questo insospettisce.
John Cage disse in una intervista (per i suoi settant’anni, nel 1982) che il pezzo più importante che aveva composto era il pezzo silenzioso 4’33”. Come molti sanno l’esecutore si mette al pianoforte e resta perfettamente fermo senza toccare alcun tasto per 4 minuti e 33 secondi. Ma ciò non significa che non ci sia musica in sala, o in qualsiasi altro ambiente in cui si svolga la performance: è quella prodotta da tutto ciò che vive e si muove intorno allo strumento. Osserva Cage: “La musica è continua… In india si dice: La musica è continua, siamo noi a allontanarci…” (Cage, Al di là della musica, Mimesis, 2013)
Il silenzio come intenso esercizio di ascolto. Momento necessario prima di tornare – più consapevolmente? – a contribuire con una propria parte alla sinfonia collettiva nella quale siamo immersi.