Pubblicato sul manifesto il 13 luglio 2021 –
“Leggevo tutto quello che mi capitava a tiro, attingendo ai libri della biblioteca interna”. Chi parla è Emanuele Macaluso. La biblioteca è quella del sanatorio, vicino a Caltanissetta, dove – giovanissimo – curava la tubercolosi. Ma la prima raccolta di libri di cui si serve il futuro dirigente della Cgil e del Pci, è del padre, che al fronte della Grande Guerra riuscì – oltre a sopravvivere – a prendersi la licenza elementare : “Si era costruito nel tempo una piccola biblioteca di classici, da cui attinsi i primissimi libri, Il conte di Montecristo e I Miserabili, o libri più popolari, tipo Le due orfanelle…”. Il ragazzo supera la crisi e va a trovare l’operaio comunista Calogero Boccadutri. Abita in un “basso” che sembra la cella di un monaco: “C’era soltanto una stanza con un letto, un tavolo per scrivere e una credenza di libri”. Alle prime prove di attivista clandestino, si sente dire: “Dobbiamo essere organizzati, disciplinati. E studiare”.
L’occasione per compulsare altri testi è l’arrivo tra i comunisti di un “saracino con due baffoni neri”, Michele Calà, funzionario statale e “coltissimo”. Lui sì che ha una vera biblioteca, “nutrimento intellettuale della nostra cellula”. C’è Marx, ma anche Malaparte, London, Gorkij. E libri americani che arrivano fino al giovane Leonardo Sciascia, anche lui studente a Caltanissetta.
Ma Macaluso non si accontenta, e trova nella biblioteca comunale Il materialismo storico di Labriola e i testi marxisti della Utet.
Sono pochi scampoli del racconto di una lunga vita che il giornalista Concetto Vecchio raccoglie dall’anziano dirigente comunista, fino a pochi giorni prima della sua morte, facendone il libro “L’ultimo compagno. Emanuele Macaluso, il romanzo di una vita” (Chiarelettere, 2021, 230 pagg. 16 euro). La conversazione avviene in un’altra biblioteca, nella casa romana di Emanuele, a Testaccio. “… le pile di giornali formano un mucchio informe che profuma di inchiostro….. Attorno a noi torri di libri, impilati senza ordine apparente”.
Chissà quante altre pile di libri hanno accompagnato quell’esistenza densa di azione, di amori, di politica, di contraddizioni ideali e esistenziali, per sedimentarsi poi in questa ultima stazione, con quadri di Guttuso alle pareti.
L’amore, fino all’assurdo, per la carta stampata e i libri è la grande metafora della lotta per l’emancipazione di un tempo, e della sua evoluzione, negli uomini migliori, in una inesausta ricerca critica.
Il libro di Concetto Vecchio indugia sull’umanità del suo interlocutore, e termina con uno “scoop”: i documenti di archivio dell’accusa di adulterio che costò al giovane Macaluso e a Lina Di Maria, che sarà madre dei loro due figli, la prova del carcere nel febbraio del ’44. Tra cui alcune toccanti lettere d’amore tra i due.
Questo ritrovamento è avvenuto dopo la scomparsa di Emanuele, e leggere quei testi attraversati da passioni brucianti, non prive di contrasti, oltre alla commozione mi ha procurato anche un disagio. Come se mi fosse stata concessa un’intrusione indebita nell’intimità di una persona a cui ero, e sono, affezionato.
Se il libro di Vecchio è ricchissimo di racconti sull’uomo, il politico Macaluso emerge nelle sue molteplici sfaccettature dal dialogo con Claudio Petruccioli pubblicato da Marsilio: “Comunisti a modo nostro. Storia di un partito lungo un secolo”(2021, 453 pagg, 20 euro).
Emanuele firmava i suoi corsivi da direttore dell’Unità con la sigla (suggerita da Giorgio Frasca Polara) em.ma. Mi ha sempre fatto pensare a qualcosa di femmineo (Jane Austen?) che ingentiliva il suo essere maschio appassionato. Intorno a lui, intanto, i libri continuano a appilarsi.