Pubblicato sul manifesto il 27 aprile 2021 –
Può succedere che passioni intense fino a essere smisurate si concentrino in certi tornanti della storia su particolari apparentemente marginali, tanto che lo scontro politico e verbale suscita in noi la domanda in romanesco maccaronico: ma che state a dì?
Ci era stato spiegato che la coppia destra-sinistra non aveva più senso e appeal. Ora scopriamo che la dialettica vera è tra aperturisti e chiusuristi, se il neologismo non disturba. Lo scontro al calor bianco si era concentrato dapprima sul cruciale spazio temporale di 60 minuti. Coprifuoco – inquietante termine legato a immaginari bellici – alle 22 o alle 23? Passa da questa strettoia cronometrica la differenza tra libertà e oppressione?
Sembrava di sì.
Nell’aspra disputa, non per caso soprattutto tra maschi in posizione supposta alfa (tipo Letta e Salvini) , si sono intrufolate due voci femminili, con sfumature impreviste. Mangia tranquillo al tuo tavolino esposto al vento fino alle 22 scoccate! La vigilanza dello Stato ti darà il tempo di rincasare senza repressive sanzioni (disse la ministra per i rapporti con le Regioni Gelmini). Neanche per idea (replicò severa la ministra dell’Interno Lamorgese): la norma va rispettata. Alle 22 tutti a casa, punto e basta. Anche se qualche giornale si è spinto a attribuire a “Palazzo Chigi” l’intenzione di una gestione “soft” della non simpatica prescrizione.
Si sarebbe tentati di iscriversi al partito del ristoratore romano che la sa lunga: ha riaperto il suo locale in pieno centro, frequentato da politici e intellettuali, senza irrigidirsi in polemiche. Devo chiudere alle dieci? E vabbè, i clienti verranno un po’ prima…
Ma a questa posizione cinica e fatalista, tipica della Capitale, sfugge forse la sostanza più vera della questione. Non c’e bisogno di citare la massima di quel filosofo, “l’uomo è quel che mangia”, per riflettere sulle osservazioni di Antonio Polito sul Corriere della sera di ieri (lunedì 26). Un bar non è solo un bar, e a maggior ragione un ristorante non è solo un ristorante: non solo perché si tratta di attività economiche del tutto rilevanti quantitativamente, per imprese grandi e piccole e per dipendenti più o meno precari. Ma perché il viver bene riassunto dal mangiar fuori, possibilmente intrattenendosi a tavola senza limiti di tempo troppo stretti, è un marchio dell’ Italian Way of Life, che tutto il mondo conosce, ci invidia e tenta (penso vanamente) di riprodurre. Qualcosa che riguarda la socialità e l’identità profonda di un popolo.
Devo ammettere, pur simpatizzando a minutaggi alterni con le posizioni del fronte chiusurista, che si sbaglierebbe a non tenere conto della fondatezza di tali argomenti.
Ho ascoltato poche sere fa le affermazioni perentorie di un uomo coltissimo e appassionatissimo come Massimo Cacciari, secondo il quale non solo la singola ora contesa, ma tutta la nottata afflitta dal divieto di muoversi fuori casa è una enorme stupidaggine. E non se la prendano quelle brave persone di Speranza e Draghi.
Sarà un caso ma dopo Cacciari e Giorgia Meloni, anche Salvini – il nuovo Bertinotti, Prodi dixit – si sposta sulla posizione più estrema: baldorie fino all’alba. Ecco la vera liberazione! E se questo lo spinge fuori dalla maggioranza di governo, forse spera segretamente: e così sia. Già una volta tra pieni poteri e un po’ meno potere scelse: nessun potere, tranne quello di urlare contro. È questo atteggiamento che mi trattiene dal dare definitivamente ragione a Cacciari.
Era proprio così insopportabile pazientare ancora due o tre settimane? Ed evitarci tutti questi fastidiosi pensieri mentre finalmente gustiamo i tonnarelli cacio e pepe al tramonto, sia pure un po’ frettolosi?