Invisibili o esibite, oltre qualsiasi limite! Quando si parla del”sangue di vita” femminile, gli uomini che dirigono le aziende non hanno misura del loro secolare sguardo sul corpo femminile: si vede alla FCA e succede in Nuvenia.
Nuvenia sta definendo un linguaggio pubblico sul corpo delle donne, nei suoi spot pubblicitari con pannolini e vulve ammiccanti, che banalizza il mistero del corpo femminile. FCA sta cancellando il linguaggio pubblico e privato delle donne sul proprio corpo obbligandole ad indossare tute bianche, uguali per maschi e femmine, come se le donne non avessero un corpo che ogni mese parla del proprio mistero macchiando di sangue mestruale le sue eleganti tute bianche.
Penso che Nuvenia per vendere i propri pannolini abbia fatto ricorso, in chiave maschile, a quello che le artiste hanno prodotto sulle mestruazioni dagli anni ’60 ad ora. Nuvenia ha cercato di trasformare uno spot in un prodotto artistico, con una troppo voluta ironia mistificata da colori e musiche, per giustificare gli ammiccamenti della vulva e quindi dei pannolini, esibiti a tutto schermo, per venderli.
La sua finzione sta nell’intestarsi un presunto cambio di sguardo sul sangue mestruale, il vero oggetto che interessa i loro pannolini e che qui invece confonde con la vulva, per convincere che per loro i tempi sono davvero cambiati e non hanno più tabù.
Sentono così di aver raccolto il pensiero artistico femminile e quello femminista e di meritare una ricompensa: la vendita del loro prodotto perché sono arrivati primi. Un cambio di sguardo a sesso unico che saccheggia quello che le artiste hanno espresso nell’arte sulle mestruazioni per segnare l’incancellabile differenza sessuata del loro corpo da quello maschile. E per quanto le artiste si siano affannate a rompere tabù per significare il nostro corpo, oggi il loro messaggio, spesso basato sulla visibilità del sangue mestruale per scioccare e fare riflettere, viene rimacinato senza misura in ammiccamenti da bar Sport, versione denaro.
Scioccare è un linguaggio storico artistico molto frequentato, ora, nel ‘900 ma anche prima ed ha una profonda e antica impronta maschile. Forse anche questo modo espressivo, validissimo a suo tempo, ha esaurito la potenza del suo messaggio se non vogliamo essere depredate dalle furbate maschili, almeno qui in Occidente, dove non vai in prigione come Zhera Dogan se disegni e sei costretta a dipingere col sangue mestruale perché non ti danno colori e carta.
Credo che oggi si debba andare oltre nell’analisi del nostro mistero e lo si debba guardare da dentro e non da fuori. Tra l’altro in quella pubblicità non c’è nulla della bellezza tecnica e compositiva dell’ Origine du monde di Courbet che pure intende scioccare…
Non ho voglia di fare una ricerca sul sesso di chi ha commissionato e realizzato questi spot senza misura, perché è proprio l’assenza di misura che secondo me ne denuncia la nascita. Anche se l’avessero realizzata delle donne il pensiero di riferimento è uno solo: maschile.
Già: l’incapacità della misura è il tema quando gli uomini di un certo tipo parlano di donne o alle donne. Non le vedono, non parlano alle donne. Parlano tra loro di donne e basta, col metro del loro sguardo che ci rende in-visibili per quelle che siamo davvero nella nostra complessità: ci semplificano per capirci, secondo loro…
Eppure una misura c’è stata nella questione del sangue di vita. E’ stata data dalle operaie della FCA di Melfi, 5 anni fa, quando si sono ribellate in 400 in due giorni contro le tute bianche che si macchiavano di sangue mestruale: non volevano essere umiliate dalle macchie per un intero turno. Ma le operaie non camminano sul red carpet (Mis(S)conosciute) e poche e pochi le hanno viste e ci hanno ragionato sopra, anche tra le donne.
Sulla ribellione delle operaie di Melfi, che vestono ancora le tute bianche, come credo in tutti i più di cento stabilimenti FCA facendo dilagare un preciso pensiero su di noi, ho fatto una mostra che si intitola “Il Mistero (negato) del corpo che non tace” (neppure se lo dice Marchionne) e sono 5 anni che ci ragiono e lavoro. Nel fare la mostra, mi sono resa conto della misura che mi avevano dato le operaie di Melfi come donna e come artista, così come le artiste del Me Too l’hanno data sulla violenza. Le operaie si rifiutavano di esibire il sangue mestruale per imposizione e rivendicavano la loro e la nostra libertà nel dirlo a chi, quando e come volevano. E’ stato lì che ho capito che l’esibizione del sangue mestruale non poteva più avere senso per come le artiste l’avevano rappresentato dagli anni ’60. Il rifiuto delle operaie definiva la loro libertà di dirsi secondo il loro desiderio che diventava la Misura con cui trattare il tema. Avevo in un primo tempo pensato di affrontare il tema del sangue vero esibendolo come ero abituata a vedere in arte, ma poi ho capito che avevano ragione le donne della FCA di Melfi ragionando con Iolanda,una di loro, e che dovevo lavorare sul simbolico del rosso: acrilico o china o cotone, la preziosità dell’oro e l’ironia del punto croce, come segno espressivo non violento, su grandi antichi lenzuoli tessuti a mano da donne e sul linguaggio del sangue che per noi diventava di vita e non di ferita o di morte come inconsciamente lo leggiamo quasi sempre.
E’ la misura femminile attuale, quella che manca a FCA e Nuvenia. Una misura che non scimmiotti le opere d’arte femminili sul tema e che cominci a ragionare confrontandosi con chi vive tutta la vita quel fenomeno che non è da baraccone.
E’ un peccato questa assenza di misura maschile, questa oscillazione tra desiderio e repressione senza una via di mezzo, senza porsi in ascolto del pensiero delle donne.