BUÑUEL NEL LABIRINTO DELLE TARTARUGHE – Film di Salvator Simó. Spagna, Paesi Bassi, Germania 2018.
L’altra sera ho visto un film d’animazione in uno scenario spettacolare. Sul laghetto dell’EUR, a Roma, è stata allestita una sorta di arena da centocinquanta posti. Lo schermo è direzionato davanti il palazzo degli Uffici dell’Eni, e sulle zattere di legno sono state ubicate una serie di sedie a sdraio per gli spettatori. D’obbligo sono le cuffie auricolari wireless (sanificate e sigillate). Il Floating Theatre porta con sé lo spirito delle duecento finestre sparse per il mondo che nelle giornate di chiusura forzata per il Covid-19, hanno tenuto insieme le persone attraverso il cinema, usando come schermo le facciate dei palazzi, proiettando le trame e le immagini di film noti.
Questa inusuale arena presenta trenta giorni di programmazione (dal 24 agosto al 24 settembre) in un quartiere che può essere considerato, già di per sé, cinematografico e che è stato molto amato da registi famosi come Federico Fellini e Michelangiolo Antonioni.
La vicenda è tratta da un fumetto di Fermín Solís e racconta la difficile realizzazione del documentario “Las Hurdes” (“Terra senza pane” in italiano) girato da Louis Buñuel nel 1932. Il docu-film è stato una denuncia sulle condizioni di miseria in cui versavano gli abitanti di una zona impervia e particolarmente povera dell’Estremadura, nella penisola iberica. Questa, in effetti, è una terra montagnosa dal clima mediterraneo, la cui principale attività è, a tutt’oggi, l’agricoltura. La popolazione ha vissuto per secoli in una situazione di indigenza e di disagio economico da cui è uscita solo nella seconda metà del secolo scorso.
Il regista surrealista – all’epoca viveva a Parigi – aveva appena finito di girare “L’age d’or” che aveva fatto scandalizzare la società borghese dell’epoca, la quale lo aveva isolato impedendogli ulteriori realizzazioni cinematografiche. C’è stato perfino chi ha chiesto al Papa di scomunicare il regista spagnolo.
Sarà grazie all’amico scultore anarchico Rámon Acìn – alla sua vincita alla lotteria natalizia – che Buñuel riuscirà a realizzare il documentario suggeritogli dall’antropologo Maurice Legendre.
Salvator Simó ha usato l‘animazione per raccontare come Louis Buñuel e la sua troupe siano arrivati a girare certe scene, inframezzandole con alcune immagini in bianco e nero del film originale. Racconta, ad esempio, delle capre che cadono dalle rocce su cui si sono arrampicate, dell’asino divorato dalle api, e delle case maleodoranti in cui vivono animali e persone in maniera promiscua.
Mostra anche che, alla spregiudicatezza iniziale di Buñuel nel girare ad ogni costo le scene violente, subentra poi un cambiamento dopo vari giorni di contatto con questa misera e sfortunata popolazione e non insisterà quindi sul dolore nel caso di una bambina malata.
Salvator Simó scava contemporaneamente nelle motivazioni inconsce di Buñuel insistendo sul suo rapporto con un padre severo e con la oppressiva educazione religiosa anche attraverso la rappresentazione di alcuni suoi incubi ricorrenti. Divertenti sono i riferimenti a Salvator Dalì – con cui Buñuel aveva lavorato condividendo le immagini ne “Le chien andalou”, considerato manifesto del surrealismo – come ad esempio le baguettes di una boulangerie che si afflosciano come gli orologi di un quadro di Dalì.
“Buñuel nel labirinto delle tartarughe” ha vinto un premio agli European Film Awards 2019, ottenuto quattro candidature ai Goya 2020 di cui ha vinto il premio come miglior film d’animazione.