OPERA SENZA AUTORE – Film di Florian Henckel von Donnersmarck. Con Tom Schilling, Sebastian Koch, Paula Beer, Oliver Masucci, Saskia Rosenthal, Cai Cohrs, Lars Eidinger, Germania 2018. Musica di Max Richter, fotografia di Caleb Deschanel.
Ho visto, su Amazon Prime Video, questo film di Florian Henckel von Donnersmarck – “Never look again” è il titolo internazionale – che mi era sfuggito quando era stato proiettato nelle sale cinematografiche e che aveva ottenuto due candidature agli Oscar 2019: come miglior film straniero e come migliore fotografia.
Sembra che le tematiche che affascinano il regista tedesco siano quelle dell’uomo “invisibile”, di un individuo introverso con i suoi sentimenti interiori anche contrastanti, che vive in un periodo storico violento e avverso.
Florian Henckel von Donnersmarck, infatti è diventato celebre nel 2006 con “La vita degli altri” dove descriveva i sentimenti dell’agente della Stasi Gerd Wiesler, che aveva il compito di spiare le vite di persone politicamente sospette, intellettuali o artisti, nella DDR degli anni ’80 prima del crollo del muro di Berlino.
Nell’”Opera senza autore” i periodi storici rappresentati sono gli anni che vanno dal nazismo alla costruzione della DDR subito dopo, a Dresda e nell’Alta Lusazia, fino ad arrivare negli anni Sessanta nella occidentale Düsserdolf.
Gli occhi attraverso i quali si dispiegano i venticinque anni di storia tedesca sono quelli del pittore Kurt Barnert (interpretato da Tom Schilling) che incontriamo bambino frequentare le mostre di pittura, accompagnato dalla bella e stravagante zia Elisabeth (Saskia Rosenthal). Il film si è ispirato a fatti reali, in particolare a quelli della vita del pittore Gerhard Richter.
Attraverso le vicende del protagonista si raccontano le difficoltà dell’arte pittorica di passare dal conservatorismo nazista, feroce nemico e osteggiatore delle avanguardie, al realismo della propaganda socialista, per poi sfociare, tra denuncia e testimonianza, nell’astrattismo.
Molto intensa è la prima parte del film che tratta la soppressione dei “diversi”, la sterilizzazione e l’eutanasia di cinquantamila persone, considerate soggetti “difettosi” nel corpo o nella mente, inclusi diverse migliaia di bambini.
Così fu per la zia Elisabeth – alla quale il piccolo Kurt era affezionato – visitata dal professor Carl Seeband (interpretato dall’immancabile Sebastian Koch), capo dell’ospedale femminile di Dresda, Obersturmbannführer delle SS, che ne decise la sterilizzazione forzata e, successivamente, l’eliminazione, come dal programma di eugenetica nazista.
Il caso vuole che anni dopo Kurt si innamora di Elli (Paula Beer), un’altra Elisabeth ma figlia di Seeband, con la quale poi si sposerà nonostante i vari ostacoli congegnati dal padre. Carl Seeband era infatti scampato ai controlli anti-nazisti perché, in qualità di ginecologo, aveva fatto nascere la figlia di un comandante sovietico del KGB di cui godeva protezione.
Qualche mese prima della costruzione del muro di Berlino (1961) Kurt ed Elli fuggono all’Ovest a Düsseldorf dove lui scoprirà le nuove tendenze artistiche dell’Avanguardia e dell’Espressionismo astratto. Stretta amicizia con altri giovani artisti comincerà a usare le fotografie di ritratti come base per i suoi dipinti, con l’idea di far interagire l’astrazione fotografica con la fisicità pittorica. Utilizzerà (consapevolmente o no?) un repertorio che annovera immagini tratte dalla sua infanzia, di nazisti, del suocero, della zia Elisabeth.
Senza entrare nei racconti in dettaglio della trama, posso affermare che il soggetto della pittura di Kurt è il campo delle relazioni tra l’illusione e la realtà creata dai suoi dipinti, tanto che alla sua prima personale i critici, per sottolineare l’oggettività dei suoi quadri diranno che sono “opere senza autore”.
La tematica della pellicola è avvincente, ma il film è un po’ troppo lungo (un po’ più di 3 ore) e non tutto il tempo ha quella tensione che rendeva vibrante “Le vite degli altri”. Alcuni personaggi poi sono molto poco sfaccettati e perfino lo stesso Sebastian Koch, attore feticcio del regista, risulta un po’ penalizzato in questa parte del freddo e cattivissimo nazista.