In questo periodo di chiusura delle sale cinematografiche cerco di vedere in televisione – tra i vari abbonamenti a reti private – alcuni film recenti che mi sono sfuggiti. In alcuni casi, con le iniziative gratuite dette #iorestocasa, vengono proposti film di una certa qualità che di solito le TV generaliste non trattano.
Ho visto così (su Sky #iorestoacasa) un interessante film della regista scozzese Lynne Ramsay del 2017. Non sono molte le donne registe in generale e mi stupisce che alcune mostrino sempre immagini oltre che di dolore intenso, di grande violenza. Mi riferisco in particolare a due bravissime e coetanee registe: la californiana Kathryn Ann Bigelow, che con il film “The Hurt Locker” ha vinto sei premi agli Oscar 2010 (di cui anche la regia per la prima volta a una donna), e appunto Lynne Ramsay che nasce come operatrice cinematografica, e ha quindi una approfondita conoscenza tecnica.
“A Beautiful Day” – il cui titolo originale è “You Were Never Really Here” – è un thriller psicologico ipervisivo basato sul racconto omonimo di Jonathan Ames del 2013. Joe (interpretato da Joaquin Phoenix) è un veterano di guerra che vive nella sua casa d’infanzia con la madre (Judith Roberts) di cui si prende amorevolmente cura. Rimasto traumatizzato da violenze del suo passato bellico di marine e di agente della FBI, e dagli abusi subiti – come anche sua madre – da parte dell’irrefrenabile padre, ha spesso ricordi inquietanti misti a visioni desideranti il suicidio.
In una New York sempre in secondo piano, Joe fa il mercenario prestandosi a fare “lavoretti” al posto di molte persone che non hanno il coraggio di fare, un po’ come Mr. Wolf in Pulp fiction.
Attraverso l’amico mediatore viene contattato da Albert Votto, un Senatore dello Stato di New York, al quale hanno rapito la figlia, una giovane ragazzina che si trova ora in un bordello per ricchi clienti.
Uccidendo vari guardiani Joe riesce a salvare Nina (Ekaterina Samsonov), ma poi gli viene portata via da agenti di polizia che lo perseguitano e fanno fuori l’amico mediatore. Inoltre, avendo scoperto il suo indirizzo di casa, uccidono perfino sua madre. Nella colluttazione Joe riesce a ferire mortalmente uno degli agenti il quale, prima di morire, gli rivela che il mandante è il Governatore Williams che gestisce l’attività di prostituzione e vuole Nina perché è la “sua preferita”.
Joe viene a sapere che il Senatore Votto è stato ucciso, quindi si sente ancora più responsabile della vita della ragazza e, dopo aver seppellito sua madre in acqua, si mette alla ricerca di Nina nella casa di campagna del Governatore Williams. Lì scopre che Nina si è ribellata tagliando la gola al Governatore con un rasoio. Più tardi, seduti in una tavola calda, Nina sveglia Joe, assorto in una sua fantasia suicida, dicendo “È una bellissima giornata”, e se ne vanno insieme.
La regia di Lynne Ramsay non ci risparmia nessuna scena di violenza, né i colpi di martello (al posto della pistola) con cui Joe sfoga la sua rabbia omicida.
Concentrato su primissimi piani spesso di dettagli, lo sviluppo narrativo è privo di punti di riferimento spazio-temporali e sembra quasi ostacolare il percorso voluto.
Vedendo questo film mi sono chiesta come mai Joaquin Phoenix non abbia già vinto l’Oscar con questa interpretazione. A mio avviso il personaggio di Joe è molto simile nelle motivazioni a quello di “Joker” 2018: entrambi paranoici e insofferenti alle ingiustizie sociali, entrambi con storie infantili drammatiche, entrambi si prendono cura della propria madre.
La figura del protagonista ricorda inoltre Travis, il disadattato reduce del Vietnam di “Taxi Driver” di Martin Scorsese del 1976 – specialmente nelle scene solitarie e deliranti – anche lui con il desiderio di salvare una minorenne dal mercato della prostituzione.