Pubblicato sul manifesto il 5 maggio 2020 –
Ne abbiamo già lette e sentite di tutti i colori, come si dice, a proposito della faccenda dei “congiunti” che saremmo – relativamente – liberi di visitare secondo quanto prescrive l’ultimo DPCM (Decreto del Presidente dei Consiglio dei Ministri) che ha aperto la cosiddetta “fase 2”.
Ma non so trattenermi dal tornare su questo incredibile “lapsus” buro-governativo (dal latino labi, scivolare, il che indica un incidente involontario, ma Freud ci avvertì di indagare le motivazioni inconsce…).
C’era una volta l’art. 1 del suddetto DPCM che a proposito degli spostamenti leciti, sinteticamente recita: “… e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti”. Alle successive interrogazioni pubbliche e private sul senso di quella parola sarebbe stato saggio rispondere che avrebbe deciso ognuno da sé, con quel senso di responsabilità di cui ieri erano pieni i titoli dei giornali anche in seguito a nuova esternazione via facebook del facondo Conte.
Ma quella sorta di inerzia amministrativa che soffre di cronica sfiducia sulle autonome capacità di giudizio del cittadino o cittadina, non ha potuto fare a meno di promulgare una risposta debitamente articolata, pubblicata sul sito del governo (http://www.governo.it/it/faq-fasedue). Ecco il testo:
“L’ambito cui può riferirsi la dizione “congiunti” può indirettamente ricavarsi, sistematicamente, dalle norme sulla parentela e affinità, nonché dalla giurisprudenza in tema di responsabilità civile”. N.d.r. : è appena il caso di rilevare come l’uso ripetuto del verbo “può” – quindi non “deve” – seguito dagli acrobatici avverbi “indirettamente” e “sistematicamente”, getti nella più opaca indeterminatezza questa esplicazione semi-normativa fin dall’inizio. Ma il testo prosegue: “Alla luce di questi riferimenti, deve ritenersi che i “congiunti” cui fa riferimento il DPCM ricomprendano: i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)”.
Alla luce!!
Mi chiedo, per esempio, essendo molto affezionato a una cugina della coniuge, se la congiunzione vale anche verso il di lei marito, o forse semplice compagno: potrò incontrare lecitamente anche lui, sia pure con la mascherina d’ordinanza?
Direi – come hanno già osservato molte e molti – che l’unico comportamento sensato sia quello di decidere liberamente chi considerare “congiunto”. Del resto l’espressione “le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo”, nella quale riconosciamo amici e amiche amati e amate, messa lì in mezzo, produce logicamente la destrutturazione della rete normativa dei vari gradi di relazione congiunta su cui la delucidazione ministeriale indugia.
Il nostro sarà un gesto di rivolta, ma – in fondo – coerente con lo stato confusionale della norma. Il lapsus parla di un riflesso disciplinare ormai del tutto privo di autorità.
E per consolarci leggiamo un passo di quel capolavoro di Musil che è “Congiungimenti”, là dove si descrive lo strano legame instabile che unisce Claudine e suo marito:
“Era un oscuro sentimento del mondo intorno a loro, che li stringeva l’uno all’altro, era un senso fantastico di freddo da tutti i lati tranne quello dove erano uniti, si scaricavano, si davano appoggio come due metà meravigliosamente coincidenti, che, combinate insieme, diminuiscono le loro superfici verso l’esterno mentre l’interno si espande in se stesso. Talvolta erano infelici perché non potevano metter in comune tutto fino in fondo…“.