“Aiuta lo Stato. Uccidi un pensionato”. Oggi ho trovato questa vecchia copertina di Cuore, rivista di satira mai superata, altri tempi altre libertà. Così sfogliando qualche pagina ho messo insieme i pensieri sparsi di neuroni che girano come criceti sulla ruota.
Oggi ventisettesimo giorno è la giornata della rabbia in quarantena. Pure dandomi tempi rigorosi come fossi un equipaggio di un sottomarino per superare ogni giorno fingendo souplesse, osservo me stessa nell’irritazione verso le piccole cose che non mi piacciono: mi inquieta l’uso scellerato delle preposizioni in tv, così come con la stessa virulenza vorrei il martello di Thor di fronte al sorriso mammesco di giornaliste televisive che concludono le loro trasmissioni con un “restate a casa” dieci cento volte come un mantra, di fronte a quella frotta di bambini scellerati che siamo diventati, così incapaci che la lettura dei dati quotidiani relativi a chi parte e chi resta diventa una sciarada.
Già: non bastasse la paura di morire per te stessa e chi ti è caro, non bastasse quel senso di oppressione che dà l’indispensabile mascherina che ci accompagnerà fedele a lungo, a calare la falce sul nostro collo c’è il controllo sociale e l’irresponsabilità di chi briga a diffonderlo, partendo da chi fa certa informazione. “Siamo tutti delatori” era una rubrica di Cuore che invitava i suoi lettori a fare pubblicamente da spia a qualunque vicino, negoziante, impiegato postale che a suo dire faceva qualcosa di “sbagliato”.
Ora: data la proibizione confusa delle passeggiate all’aperto (ma anche no), del bambino recluso ma anche no, della famosa attività fisica non ancora ben definita che ci auguriamo muova finalmente le nostre pance molli, tra le varie attività da fare in casa (basta affacciarsi al balcone senza tema di uscire), riscuote crescente successo il delatore (includo per comodità nel maschile anche la delatrice). Infaticabile, se è a casa spia chi esce con il cane e supera la soglia dei duecento metri, fotografa folle oceaniche che fanno si muovono in strada. Ora, io abito al Lido di Venezia, un’isola che già durante l’inverno non è popolata, ora meno che mai, dunque onestamente non scorgo grandi differenze e soprattutto godo il privilegio di avere il mare di fronte alla mia casa. Dal gruppo Facebook che include anche gli abitanti della sorella Pellestrina (popolazione ancora più scarna, finita completamente travolta dall’acqua alta lo scorso anno), non riesco più a staccarmi che nemmeno una serie tv. Ci sono persone che hanno chiamato i carabinieri per denunciare due auto lasciate in sosta vietata (multati i proprietari); l’urlo permanente è RESTATE A CASA, fiorito da epiteti più o meno pecorecci, tra un po’ lo diranno anche alle auto della polizia municipale di pattuglia. Il mercato settimanale è oggetto da un mese di accese liti, tra chi sostiene che ci sono sempre troppe persone che hanno chissà com’è la stupida esigenza della spesa e chi – sparuta minoranza – prova a riportare il delatore alla ragione. E così la fila ai battelli (io non ne ho visti più di cinque di viaggiatori), l’ormai colpevole proprietario di cane e chi ne ha più ne metta.
Ma lasciamo l’isola e passiamo alla mia Napoli: da giorni tutti i giornali riportano la stessa foto (e almeno fatene una nuova): la via principale del quartiere Sanità, dove decine di persone fanno la spesa. Il tono del delatore si riferisce sempre alla supposta allegria che anima chi in strada sta, n’importe qui, n’importe quoi, chi infrange il divieto, chi pecca diciamola tutta. Poi alla decima visione, tu prendi la foto, la ingrandisci e guardi bene: anzitutto sai che Napoli è la città europea con la più alta densità di popolazione, che molte strade sono vicoli, a volte solo un po’ più larghe delle calli della Venezia che abito; che il quartiere è popolare e povero, che intorno grandi supermercati non ce ne sono. Guardo meglio, dicevo, e vedo donne e uomini in mascherina, è vero c’è un signore che toglie la mascherina per una boccata alla sigaretta, due brave poliziotte municipali che con calma invitano chi è troppo lontano a distanziarsi. Ultimo, se non sei ricco non hai l’auto, non hai il supermercato vicino casa e hai tre figli e un marito la spesa la devi fare più spesso.
E così Napoli con Genova (ma di Genova non ho foto, ahimè), città che si riempiono di multati, esempi di cattiva condotta, così come i due scellerati di Pellestrina che hanno parcheggiato in sosta vietata in un luogo dove c’è un’auto ogni due chilometri.
La forza di pensare a controllare gli altri, da privato cittadino che finalmente ha la stella di sceriffo, che quando non può correre dalle autorità corre sul web e informa la sua comunità virtuale. Responsabilità sociale della delazione è anche e fortemente lo Stato, che affida indirettamente al singolo il controllo dell’altra/o nella sfera della prossimità sociale, perché in casi di manifesta essenza c’è il drone, c’è la app che controlla gli spostamenti, la app di Zoom che prende i dati di chi si incontra per lo spritz virtuale della sera.
Quale mondo troverò quando finalmente potrò aprire la porta? Nessuno ancora lo sa, probabilmente sarò io a denunciare il delatore perché quello spazio minimo di libertà non me lo toglieranno nemmeno quegli occhi dietro il binocolo, eternamente piantati sul cortile.
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