È dall’età post adolescenziale che non amo l’otto marzo perché non mi considero una specie in estinzione. Pure in passato ho partecipato alle manifestazioni quando sentivo il bisogno di stare accanto alle donne che si erano spese per un evento e che costantemente con il loro impegno fanno fronte a battaglie necessarie, i cui risultati spesso non sono proporzionati all’investimento di energie (le manifestazioni, non le battaglie). Quest’anno lo sconcerto è iniziato due giorni prima dell’otto. Sono rea confessa: non sono riuscita a rammaricarmi per il divieto alle manifestazioni e nemmeno per le donne che hanno organizzato flash mob con nastri rosa per mantenere le dovute distanze anti COVID-19. Gli eventi ci hanno travolte e travolti e sembra brutto dirlo così, mi spingono a pensare meglio e più a fondo, con tutto il rispetto per i flash mob.
Così da qualche giorno giro e rigiro tra le mani il corposo documento del Gruppo Femminista del mercoledì (lo trovate in questo stesso sito), che si dipana in ben quindici punti. Densi, a volte drammatici, pieni di interrogativi tanto che posso sentire le voci di ognuna di loro (che sono conoscenti, amiche, sorelle). E ai testi si aggiungono mie immagini e preoccupazioni, tra cui lo sconcerto la rabbia delle donne che ieri hanno protestato di fronte a molte carceri italiane chiedendo diritti di cura e molto altro per i loro cari in detenzione. Un tragica condizione italiana costantemente sottovalutata. A loro va il mio otto marzo. Non a caso il Gruppo guarda con inquietudine a un oggi, travolto da violente repressioni, dallo sterminio di popolazioni, prevaricazioni di poteri forti che si esercitano nelle politiche internazionali come nella mancata difesa delle lavoratrici e dei lavoratori. E ancora, le devastazioni climatiche il tentativo di riportare a un passato, premendo per ripristinare il vecchio ordine patriarcale che presume ancora di accordare i corpi a una unica sinfonia. “Non vogliamo restare fedeli, fosse pure al femminismo, senza la capacità di agire in conseguenza ai cambiamenti del mondo”, si legge nelle prime righe del documento.
Dunque c’è da fare e tanto. Non senza un nuovo scarto simbolico. Certo, ricordano, ci sono stati il #METOO, il lavoro costante di #NUDM e delle donne latino americane di #Niunamenos. “Non da oggi le donne lottano contro l’offensiva reazionaria”, che si esprime nelle lotte delle forme del patriarcato. Qui mi sento di aggiungere un “ma” che in maniera più diplomatica di me le amiche del Gruppo riprendono in seguito nel documento. Il mio ma nasce dalla constatazione che l’offensiva reazionaria vive anche all’interno dei diversi femminismi: nella contrapposizione spesso caratterizzata da toni violenti tu-io sui temi come quelli della prostituzione o della gestazione per altri. E che misura come fin troppo lungo periodo in cui i femminismi ristagnano: “Non c’è però conflitto sul simbolico se il femminismo ripiega unicamente sul corpo femminile”, su posizioni schematiche, nonché nell’interpretazione marxista come l’unica lettura dello sfruttamento capitalistica, che chiude alle relazioni interpersonali, lavorative e di cura.
Insomma, e cambio linguaggio, quanto possiamo dirci davvero trasversali o come va di moda oggi “intersezionali”?.
In un bell’articolo di Simonetta Sciandivasci pubblicato su Il Foglio di sabato sei marzo – e con l’uso di un linguaggio acuto spregiudicato per i canoni dei femminismi “ufficiali” tanto che il titolo è “Femministe impresentabili” -, la giornalista raccoglie la provocazione del quotidiano Libero, che si proclamava felice dei divieti di manifestazioni pubbliche che hanno incluso anche la festa della donna. Possibile? Si, “perché se c’è un fatto che il femminismo continua a mantenere in tutte le sue diramazioni è l’inammissibilità di chi è fedele alla linea (alle linee, perché se non specifichi femminismi commetti reato culturale)”. Colpisce duro ma io non riesco proprio a darle torto. Tra un otto marzo inteso come anniversario e un otto marzo rivoluzionario – continua Sciandivasci – manca una riflessione sul perché il femminismo, “genere così mainstream” risulti ancora a molte donne come uno spettro da cui fuggire. Voleva essere la casa di tutt* il femminismo, e invece non ci siamo riuscite, a raccogliere anche spaventate e fuggitive.
Il Gruppo invita non solo simbolicamente a spostarsi con fluidità dall’io al noi e viceversa, per capire e orientare il cambiamento. Mi auguro che questo periodo di isolamento fisico e non solo sia occasione per tutte di ripensare agli arroccamenti sopra scogli dove c’è spazio per poche e che tra io e noi ci sia anche un “e pure io tra le altre”.
Tweet