Pubblicato sul manifesto il 4 febbraio 2020 –
Ogni tanto qualche frammento di telegiornale o qualche notizia nelle magre pagine di esteri dei quotidiani ci ricorda che poco distante, in Siria e in Libia, si continua a sparare, bombardare e a morire, a essere reclusi e torturati, mentre centinaia di miglia di esseri umani scappano di qua e di là, abbandonando case e affetti per salvare la vita.
Queste morti raramente conquistano i titoloni in prima pagina e i lunghi servizi televisivi che vediamo sull’emergenza del coronavirus. Come osservò Chomsky, un mondo ingiusto è ingiusto anche con le vittime, il valore della vita non è uguale per tutti. Viene persino il sospetto che se altri esseri umani li ammazziamo noi, si tratta di un fatto in fondo normale. Se invece ci uccide un alieno microscopico per di più trasmesso da un inquietante pipistrello nella immensa e misteriosa Cina, scattano le paure più irrazionali, e ci sentiamo aggrediti da una mostruosità inaccettabile.
È stato già osservato che i media sono schizofrenici: dicono che non bisogna generare panico, ma allora perché tanti titoloni e tanta enfasi?
Finora in Italia sono emersi due casi di persone infettate dal coronavirus (i migliori auguri di guarigione!). La banale influenza stagionale sta mietendo invece molte vittime. L’anno scorso in Italia – articolo del 22 agosto 2019 sul Sole 24 ore – l’influenza nostrana ha causato 198 morti oltre a centinaia e centinaia di ricoveri per situazioni gravi.
Ma è inutile fare appello al buon senso. Del resto le fonti, ufficiali e no – Stati, organizzazioni internazionali della sanità, politici vari – contribuiscono a loro volta alla nevrosi comunicativa.
Meglio riflettere su cosa può insegnarci la pandemia imprevista.
Che possiamo fare contro l’aggressione del virus pipistrelloide? “Richiudere” i porti? Chiudere anche gli aeroporti? Presidiare in armi i confini terrestri? Chiuderci in casa con scorte alla borsa nera di mascherine quotidiane?
In realtà, oltre a sperare che il virus si stufi da solo, non ci resta che scommettere sulle conoscenze scientifiche capaci di prevenire, curare, guarire. Per reagire a una malattia globale è necessaria la cooperazione globale delle conoscenze più “eccellenti”, come si dice. C’è una specie di Internazionale scientifica che in questi casi sembra in effetti mobilitarsi – magari non senza qualche spirito competitivo – con apertura reciproca e volontà condivisa.
Ci entusiasma che un pool di ricercatrici italiane allo Spallanzani sia riuscita a “isolare” il famigerato esserino. Che una di queste scienziate, dopo non pochi anni di lavoro, abbia ancora un contratto precario è un altro insegnamento su come va questo mondo. Un manager alla testa di una azienda che non ha saputo prevenire il crollo di un megaponte (causando 43 morti) se ne va con una liquidazione di 20 milioni di euro. Una giovane donna che sta contribuendo forse a sconfiggere una epidemia mondiale non merita nemmeno un tempo indeterminato.
Non è una gerarchia di valori inaccettabile? Non si affaccia il pensiero che contro tutti i mali della terra sarebbe giusto cooperare invece di confliggere e sterminarsi armi alla mano (o al telecomando)? Premiando la conoscenza e la cura piuttosto che il profitto e il potere?
Anche le borse, peraltro, soffrono per i misfatti del virus! Ma il genio italico ha inventato contromisure economiche. Cercate in rete l’audio di un napoletano che – ironicamente (?) – offre “in affitto” il cinese “co a tosse”, al fianco del quale avrete via libera nelle code alle poste, spazi in metrò, tavoli imbanditi in ristoranti poco prima affollati. Le tariffe variano fino a 70 euro…