Pubblicato sul manifesto il 10 dicembre 2019 –
Una settimana fa Antonio Polito, editorialista del Corriere della sera, ha pubblicato in prima pagina un commento intitolato Come nasce la violenza degli uomini sulle donne, che conteneva affermazioni importanti. Colpito dal racconto di episodi di violenza subita da parte della ex compagna di Thomas Piketty, Aurelie Filippetti, Polito ha osservato come “la violenza riguarda pure uomini colti, eleganti, di successo, progressisti e ugualitari”. Come appunto l’autore del best seller Il Capitale nel XXI secolo, una sorta di “bibbia” globale contro le disuguaglianze ingigantite dal capitalismo finanziario.
“Ci deve dunque essere un pericoloso grumo di pensieri e sentimenti comune a tutti gli uomini – proseguiva il commento – che li spinge a rivolgere contro le mogli e le compagne quel carico di violenza che nel resto delle loro relazioni sociali non si sognerebbero mai di usare”. Un pericolo rispetto al quale nessun uomo può considerarsi estraneo, che va contrastato mettendo in discussione il proprio “status” di maschi dominanti e esercitando “tutta la mediazione culturale di cui siamo capaci”.
Ci ho ripensato partecipando a un incontro in un salone del Comune di Salerno, affollato da centinaia di studenti delle scuole medie e superiori, con numerosi insegnanti e genitori (per lo più mamme) in cui si presentava il bilancio del progetto Conoscere, formare per cambiare. Un percorso volto a favorire una “piena cittadinanza delle differenze contro ogni forma di violenza e discriminazione” partito quattro anni fa in una quinta classe della scuola primaria, e giunto a coinvolgere quasi un centinaio di ragazze e ragazzi nei successivi anni scolastici. Mi è già capitato di accennarne, essendo stato invitato ogni anno a momenti di scambio e di lavoro.
Al centro di una attività molto ricca di ricerche, pezzi di teatro, musiche, giochi sul linguaggio e gli stereotipi sessuali, riflessioni personali, c’è stata la messa in discussione proprio di quel “grumo di pensieri e sentimenti” che sin dai primi anni di vita tende a formare un atteggiamento maschile che produce bullismo, aggressività e violenza, prima di tutto contro le donne.
Tutte le persone che hanno parlato, a cominciare dal sindaco di Salerno Vincenzo Napoli, hanno elogiato questa esperienza, realizzata per l’impegno dell’associazione “In movimento” e la passione della sua presidente Lella Marinucci. Con l’indispensabile collaborazione delle dirigenti scolastiche dell’istituto comprensivo Rita Levi Montalcini (Barbara Figliolia, Carla Romano) dell’assessora comunale alla pubblica istruzione Eva Avossa, di altre responsabili della formazione (Annabella Attanasio, Francesca D’Ambrosio).
L’efficacia di questo tipo di “mediazione culturale” è stata sintetizzata da Monica Pasquino, presidente dell’associazione S.c.o.s.s.e., da anni impegnata in questo tipo di proposte educative: l’esperienza di Salerno si è rivolta “a tutta la comunità educante”, i giovani, le famiglie, gli insegnanti, sapendo gestire gli inevitabili conflitti; si è integrata con la didattica quotidiana, non limitandosi a sporadici “interventi esterni”; è durata a lungo nel tempo. Cosa rara: da un po’ di anni percorsi simili si moltiplicano in molte realtà scolastiche, ma nei casi migliori non superano un anno, o due nel caso di progetti europei.
L’obiettivo – non semplice – è ora quello di proseguire questa “buona pratica”, riproducendo e arricchendo il “format”. Il tutto è documentato in una serie di pubblicazioni in cui, accanto alle voci degli esperti, di insegnanti e genitori, a coinvolgere e a convincere sono soprattutto i racconti di ragazze e ragazzi.