Succede in Italia. Il 23 novembre cortei femministi; a distanza di qualche giorno, manifestazioni di Fridays for Future. Intanto pesciolini comunitari, i banchi di Sardine, cominciano a riempire le piazze.
A destra di questi movimenti, il malcontento, la paura, la rabbia vengono scaricate sui migranti dai cosiddetti populisti. O sovranisti in salsa italica.
Al malcontento, alla paura e alla rabbia, la sinistra risponde balbettando. Quando risponde. In genere preferisce polemiche poco efficaci del tipo: “Volete che vinca Salvini?” o un atteggiamento silente.
Il No alla violenza contro i corpi e la mente femminile, nella questione sociale, nel linguaggio, rispetto all’ambiente, lo ascoltiamo da chi è sceso in piazza.
Cominciamo dai cortei femministi. NonUnaDiMeno si muove in tante città italiane e nel mondo. Donne aprono il corteo. Seguono maschi abbastanza amalgamati che stanno provando a interrogare se stessi perché “la violenza ci riguarda” (dalla prima assemblea Arci di Corvetto, Milano). La brutalità, gli stereotipi e lo sfruttamento, la negazione della dignità, l’ingiustizia sono punti di una storia e di una cultura che non nasce oggi.
Probabilmente meno rifinito – ma sono giovani e giovanissimi che l’hanno stretto in pugno – il pensiero sulle ferite inferte al nostro pianeta, l’incuria che riguarda la nostra terra. Quest’anno il “Block Friday” ha sommato all’avvelenamento del clima “il consumismo” del Black Friday. Dicono i ragazzi che è “uno spreco”. Ma come faccio a convincere Tizio a lasciare la felpa con lo sconto del 40% e Caia a rinunciare al pullover che finalmente ha trovato in saldo?
Intanto, le Sardine. Evitiamo l’esame persecutorio del tipo: quali idee politiche avete? Quali contenuti e programmi? Come mai vi siete dimenticati di nominare le ingiustizie di condizioni materiali indecenti per i migranti, i poveri, i fragili, i più vulnerabili?
Siete sorpresi di incontrare queste Sardine nel punto di intersezione tra agio e disagio, tra smartphone e Bella ciao. Ma guarda! Maschi e femmine spesso precari, con “il corpo al lavoro” e una identità scandita dal terziario più che dal tempo di fabbrica. Va bene, nelle piazze di Bologna, Parma, Napoli, Genova, Firenze, Milano non i perdenti della globalizzazione e però, la loro comparsa ha un po’ scosso quel senso di sconforto, di sfiducia che si stava impadronendo delle anime di tanti.
“Esserci” ha importanza. E ha importanza usare termini che si oppongono a quelli truculenti, roboanti, minacciosi di chi predica: “prima gli italiani”, “prima i porti chiusi”, “prima la famiglia naturale”.
Il bisogno di sicurezza magari sta cambiando campo. Va dove si prova a ritessere vita sociale; una vita in cui ci si mette insieme per decisione soggettiva. Senza bandiere o slogan di partiti (per sottrarsi al campo delle astrazioni e delle fumosità), viene tambureggiata la parola “comunità”, l’avverbio “insieme”. Vi sembrano troppo vaghe, mansuete, educate queste Sardine che rifiutano “il linguaggio d’odio”? E dunque quel modo terribile di negare l’altro, le sue idee, i suoi pensieri.
Per questo, uomini e donne, persone reali giovani e meno giovani, cercano un modo per dire ”No, non sono come te. Io non odio”. Vanno in piazza assumendosene il rischio (anche se non siamo a Hong Kong o a Santiago del Cile).
Tuttavia, a me pare che le donne, diversamente dagli altri movimenti, se manifestano in alcune scadenze (25 Novembre, 8 Marzo), negli altri giorni o mesi, addirittura anni (tanti quanti ne ha il femminismo), si incontrano, tessono relazioni, producono politica. Una buona politica utile alle donne e a tutti, per non subire le contraddizioni della realtà, ma per leggerle.