L’UFFICIALE E LA SPIA – J’ACCUSE – Film di Roman Polanski. Con Jean Dujardin, Louis Garrel, Emanuelle Seigner, Francia e Italia 2019. Musiche di Alexandre Desplat, costumi di Pascaline Chavanne, scenografia di Jean Rabasse, fotografia di Pawel Edelman –
Roman Polanski, a ottantasei anni, si conferma ancora una volta un ottimo regista con quest’ultimo film di impianto classico. Al di là delle polemiche su una presunta identificazione del regista, nell’ingiustamente accusato Dreyfus, il film, con il titolo in italiano, “L’ufficiale e la spia”, riporta sullo schermo un fatto reale già rappresentato al cinema nel 1937 da Wiliam Dieterle in “Emile Zola” e nel 1958 da José Ferrer in “L’affare Dreyfus”.
Il film è tratto dal romanzo omonimo del 2013 di Richard Harris, che ne ha curato anche la sceneggiatura assieme al regista. Era la fine dell’Ottocento e l’antisemitismo si stava affermando anche in Francia. Durante la Terza Repubblica francese nel 1894, Madame Bastian, un’anziana addetta alle pulizie nell’Ambasciata di Germania a Parigi, consegnò, come faceva sempre, il contenuto del cestino per la carta straccia dell’attaché militare Maximilian von Schwartzkoppen, al maggiore Hubert J. Henry vice-direttore del bureau di controspionaggio del Ministero della Guerra francese, chiamato Section de statistiques. Il maggiore trovò una nota, chiamata bordereau, in cui si dava una lista di cinque documenti segreti che l’anonimo scrivente si offriva di vendere ai tedesch: alcuni di quei documenti riguardavano i cannoni, altri la mobilitazione. Alla Sezione statistica si pensò che solo un ufficiale di stato maggiore, che avesse prestato di recente servizio nell’artiglieria, avrebbe potuto aver accesso ai documenti in questione. Fra i quattro ufficiali sospettabili c’era il trentacinquenne alsaziano Alfred Dreyfus (interpretato da Louis Garrel), la cui grafia parve vagamente somigliante a quella vergata sul bordereau e che, naturalmente, fu subito accusato, a causa della sua appartenenza alla religione ebraica.
Nel 1895 Dreyfus fu degradato pubblicamente nel cortile della Scuola militare e mandato in prigione sull’Isola del Diavolo nella Guyana francese, dopo un processo sommario fatto a porte chiuse basato su prove fragili e opinabili, e nonostante si professasse innocente. «I romani davano i cristiani in pasto ai leoni, noi gli diamo gli ebrei. È un progresso, suppongo» commenta un ufficiale. Alphonse Bertillon, grafologo, fu il principale responsabile per aver confermato la coincidenza della grafia
Il tenente colonnello Georges Piquart, (molto ben interpretato da Jean Dujardin) che era stato anche un suo maestro alla Scuola militare, subito dopo aver assistito alla degradazione, viene promosso e nominato responsabile del contro-spionaggio sostituendo l’ormai malato grande accusatore di Dreyfus, il colonnello Sandherr. In questo ruolo Piquart ha modo di verificare che il vero colpevole è Ferdinand W. Esterhazy e vorrebbe riabilitare Dreyfus con un nuovo processo, ma tutti i suoi superiori gli sono contro. Il colonnello Picquart fu rimosso dalla guida dei servizi segreti e spedito in zona di guerra in Africa.
La novità del film di Polanski risiede forse in questo: il protagonista del film non è Dreyfus bensì Piquart, con la sua rettitudine quasi maniacale. Non ha particolare simpatia per l’accusato, né tantomeno per la popolazione ebraica, non è politicamente schierato, ed è particolarmente legato all’Esercito da ben 25 anni. La sua determinazione nel perseguire la giustizia e ciò che lui giudica sia giusto fare, lo porta a inimicarsi tutti quelli che contano e che gestiscono il potere: dal Generale Mercier al generale Billot, dal Generale de Boisdeffre al Generale Gonse.
Sempre più convinto dell’innocenza di Dreyfus, Georges Piquart riuscì ad avvertire un gruppetto di politici e di intellettuali: George Clemenceau, il famoso radicale soprannominato “Il Tigre” che iniziò la sua campagna per la revisione del processo e ospitò sul suo giornale “L’Aurore”, il 13 gennaio 1898, la famosa lettera di Émile Zola al Presidente della Repubblica Félix Faure intitolata: J’accuse!
Zola fu inquisito per vilipendio, ma il giorno successivo, sempre su “L’Aurore“, fu pubblicata la Petizione degli intellettuali, che reca tra i firmatari metà dei professori della Sorbona e numerosi artisti, come Gallè, Manet, Jules Renard, André Gide, Anatole France. Il potere della stampa fu determinante.
Dopo essere stati imprigionati e processati sia Piquart sia Zola furono riabilitati nel 1900 dopo che Henry, il principale accusatore di Dreyfus membro del controspionaggio, dichiarò di essere l’autore di una lettera falsa del 1896 in cui è menzionato Dreyfus, e di aver contraffatto parecchi documenti del suo dossier segreto. Imprigionato, si suicidò in carcere con un rasoio. Alla fine anche Dreyfus fu riabilitato, ma solo nel 1906.
Per vent’anni l’affare Dreyfus fu alla ribalta e divise la popolazione, francese e non, in innocentisti e colpevolisti.
Bellissime sono le scene del film, in particolare mi ha colpito quella di apertura nel cortile della Scuola militare, in campo lungo, che ha la capacità di farci percepire la dimensione abnorme degli spazi così come la tradizione architettonica francese ci ha lasciato. Invece, l’ambientazione fatiscente e maleodorante dove lavora l’intelligence del controspionaggio e dove apre le missive intercettate (a secco o a vapore, ognuno aveva il suo metodo) mi ha ricordato quella della Stasi in “Le vite degli altri” di Florian Henckel von Donnersmark del 2007. Degno di nota il tableau vivant omaggio al Déjeuner sur l’herbe di Éduard Manet con l’amante di Piquard, interpretata da Emanuelle Seigner, e suo marito interpretato da Luca Barbareschi, coproduttore del film.
Suggestiva è la musica discreta composta dal pluripremiato Alexandre Desplat.
Il film, vincitore del Gran premio della giuria alla 76ma Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, presenta due eccezionali interpreti: Jean Dujardin è un perfetto Georges Picquart, mentre Louis Garrel è un inusuale e non simpaticissimo Alfred Dreyfus, tutto teso verso la giustizia e il ripristino della verità.
Polanski delinea, con dovizie di particolari e con un pizzico di ironia, queste figure che credono nel loro ruolo istituzionale e che sono così fedeli al principio di giustizia che rischiano la propria libertà. Ma come saranno questi stessi protagonisti che hanno lottato contro l’ingiustizia, una volta che avranno preso il potere e che saranno diventati Generali o Ministri?