Molte donne vivono ancora oggi il ciclo mestruale come qualcosa di cui vergognarsi, da nascondere come un segreto, una colpa inconfessabile. Questo è sicuramente l’effetto di un lungo processo di negazione introiettato dalle donne nel corso della storia, che il movimento femminista ha il merito di aver messo in discussione, rompendo clamorosamente il silenzio sull’argomento e rimettendo al centro dell’attenzione il corpo femminile, la maternità, l’allattamento al seno, l’utero, le mestruazioni.
Il “filo rosso” delle mestruazioni – dagli antichi riti di iniziazione alla vita sessuale adulta, connessi alle pratiche diffuse nei popoli primitivi di segregazione delle ragazze adolescenti in una capanna nel bosco, agli ammonimenti che ogni donna da ragazzina ha ricevuto, e spesso ancora oggi riceve, all’arrivo delle prime mestruazioni – è indagato dall’antropologa Gianfranca Ranisio in Quando le donne hanno la luna: credenze e tabù (2006), attraverso lo studio delle superstizioni popolari, delle credenze, dei tabù, dei divieti e interdetti che riguardano i giorni delle mestruazioni.
La conoscenza dei corpi e la regolazione del dare e ricevere la vita ha coinvolto l’intero sistema simbolico di cui le religioni hanno detenuto il monopolio, ma anche il potere medico, come ha ben mostrato la grande Barbara Duden che si definisce “storica dei corpi delle donne” in Il corpo della donna come luogo pubblico: sull’abuso del concetto di vita (1994).
È noto il gesto di Ipazia d’Alessandria, filosofa vissuta tra il IV e V secolo d.C. che, proprio facendo leva sul disprezzo sociale nei confronti del sangue mestruale, mostrò una pezza intrisa del suo sangue all’allievo innamorato per “risvegliarlo” dall’incantesimo in cui si trovava e metterlo bruscamente di fronte alla realtà concreta del suo essere donna (Gemma Beretta, Ipazia d’Alessandra, Editori Riuniti, Roma 1993; riedizione 2014).
Quel gesto sarà ripreso alla lettera nei primi anni Settanta da alcune femministe che, come la giovane filosofa Ipazia più di sedici secoli prima, facendo leva sul disprezzo sociale e sulla paura e il disgusto maschile verso il sangue mestruale, in risposta al lancio durante un’assemblea di preservativi pieni d’acqua da parte dei compagni di università, lanciarono loro dei pannolini insanguinati.
Far uscire dal silenzio l’evento mestruale, tradurlo in forme artistiche, metterlo in poesia (Fil Rouge. Antologia di poesie sulle mestruazioni, a cura di Antonella Barina e Loredana Magazzeni, CFR Edizioni, 2015) è un gesto che vuole porre fine alla percezione delle mestruazioni come ingombro, condanna, peso di cui liberarsi per affermarne la naturalità e la bellezza. L’appellativo “sangue della luna”, per esempio, coniato da Marion Zimmer Bradley nel suo La torcia, romanzo storico fantasy del 1987, va accolto come un incitamento all’orgoglio di avere un corpo di donna.
A partire dagli anni Settanta, artiste femministe si sono impegnate per cambiare l’atteggiamento negativo e le reazioni, soprattutto maschili, di disgusto e di rifiuto verso il sangue mestruale. Per esempio, Judy Chicago realizzò nel 1971 un’opera intitolata “Red Flag”, dove si vede una vagina in primo piano da cui una mano femminile rimuove un tampone insanguinato; le Guerrilla Girls, collettivo di artiste femministe nato nel 1985 a New York, realizzarono cinque grandi pannelli su cui in modo ironico esposero il loro discorso femminista sull’arte. In quella stessa mostra, Joana Vasconcelos presentò un gigantesco lampadario, “La novia”, fatto di tampax incellofanato che evocava il sangue mestruale, il rapporto delle donne con il proprio corpo, la sessualità, la verginità. La britannica Tracey Emin è l’autrice del lavoro più noto su questo versante. La sua installazione “My Bed” – il letto dell’artista disfatto e cosparso di mutandine macchiate di sangue, nonché di contraccettivi – è stata nominata nel 1998 per il Turner Prize.
All’inizio del nuovo millennio Vanessa Tiegs realizzò intorno al sangue mestruale un ciclo di 88 dipinti che intitolò “Menstrala” e fu all’origine di un movimento artistico molto attivo anche on line di “pittrici mestruali” che affermano il potere rigenerativo del sangue mestruale. La Tiegs, attraverso l’utilizzo di questo fluido corporeo “vitale”, vuole esprimere l’universalità del processo artistico, la sua circolarità (proprio come il ritmo del ciclo mestruale) e, al contempo, celebrare, grazie alla realizzazione di prodotti esteticamente evocativi, la componente più segreta del corpo femminile.
A rendere le mestruazioni argomento di attualità sono stati in questi ultimi anni i media, in particolare i social media. Hanno fatto notizia, infatti, l’immagine pubblicata su Instagram dall’artista e poetessa indiana Rupi Kaur che si autoritrae a letto con il sangue mestruale ben visibile sul pigiama e quella della fotografa di moda Harley Weir che nel 2016 ritrae una modella nuda con il sangue mestruale che cola sulle cosce. In una serie di video la modella Natalia Vodianova intervista su questo tema altre famose modelle/attiviste e la musicista indo americana Kiran Ghandi nell’aprile 2015, per denunciare la disapprovazione misogina di cui sono oggetto le donne in tutto il mondo, ha corso la maratona di Londra il primo giorno delle mestruazioni senza utilizzare alcun assorbente.
Il 2017 ha segnato un punto di svolta: mentre il movimento #MeToo metteva in moto un cambiamento cruciale nella cultura sessista, l’inglese Adwoa Aboah, “modella dell’anno” per il sito model.com nonché fondatrice del sito Gurls Talk, si è fatta portavoce delle istanze femminili più censurate, in particolare quelle mestruali e insieme alla diciottenne Amika George, ideatrice della campagna #FreePeriods, ha denunciato gli elevati costi sostenuti dalle donne per l’igiene intima e gli assorbenti durante il ciclo, in una manifestazione chiamata “Pink Protest” e tenutasi a Londra, davanti a Downing Street. In questo crescendo di interesse mediatico, Lena Dunham ha discusso apertamente della sua battaglia contro l’endometriosi e la femminista Élise Thiébaut ha dato alle stampe Questo è il mio sangue. Manifesto contro il tabù delle mestruazioni (Einaudi 2018), una dissertazione semi-autobiografica sulla “rivoluzione mestruale” in corso, un libro che analizza la genealogia del dominio patriarcale e spiega come storicamente sia stato esercitato il tabù delle mestruazioni contro le donne. Un “manifesto” che si oppone ai pregiudizi sul corpo femminile e invita le donne a disfare i sortilegi, a far uscire le mestruazioni dal recinto della vita intima e privata e a riconciliarsi con sé stesse, assumendo come base di partenza imprescindibile il “partire dal sé”, dal proprio corpo pensante e desiderante. Si tratta di non vergognarsi, di parlare, di scrivere, di attivarsi perché l’eco di questa rivoluzione si moltiplichi.
Tamara Wyndham, pur aderendo alla corrente della menstrual art, realizza dipinti di forte impatto e grande provocazione, stendendo il sangue mestruale sulla tela direttamente dalla vulva. Con la serie intitolata “Vulva Prints” cerca di creare in chi guarda uno shock emotivo, vuole essere disturbante e provocatoria, così come la performance realizzata nell’estate del 2013 dall’artista cilena Carina Ubedache che, dopo aver raccolto per cinque anni il suo sangue mestruale, ha utilizzato questo materiale per realizzare un’installazione nella quale i tessuti impregnati di fluido venivano affiancati a mele evocatrici dell’ovulazione. L’installazione ha suscitato reazioni molto differenti da parte del pubblico. A fronte del palese disgusto di alcuni critici, propensi a non definire “arte” questa creazione, altri si sono soffermati sul concetto di “nobilitazione” del sangue femminile. Altrettanto dirompente il lavoro di Lani Beloso, artista affetta da menorragia, che ogni mese realizza opere che si potrebbero definire di espressionismo astratto, utilizzando il suo sangue mestruale patologicamente abbondante. Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco è un progetto artistico realizzato intorno al «pannolino», nato da un’idea di Manuela De Leonardis che nel dicembre 2013 ha trovato in un mercatino di Roma, tra vecchi merletti e indumenti da corredo, alcune pezze di lino che fino agli anni ’60 del secolo scorso, ripiegate e appuntate all’interno delle mutande con una spilla da balia, servivano per tamponare e assorbire il flusso mestruale. Il legame concettuale e fisico tra il sangue delle donne e il «pannolino», quindi, è strettissimo. Partendo da questa consapevolezza, la curatrice ha coinvolto un gruppo complessivo di 58 artiste internazionali, consegnando loro una «pezza» su cui poter intervenire.
Nel 2014 la fotografa Marianne Rosenstiehl presenta a Parigi una mostra intitolata “The Curse” (“la maledizione”), appellativo che definisce le mestruazioni negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Si tratta di ventiquattro fotografie esplorative delle mestruazioni, dal primo menarca nell’adolescenza alla vita adulta fino alla menopausa: un percorso artistico di “rivelazione” delle mestruazioni.
Tantissime sono le espressioni artistiche concepite come forme di lotta che fanno leva sulle mestruazioni. Jess Cummin, per esempio, studentessa della Scuola d’Arte di Glasgow, ha iniziato a dipingere usando il suo sangue mestruale nell’ottobre 2015 e l’artista e giornalista Jinha Zehra Doğan, colpita dalla repressione turca per un acquerello che ritraeva la città di Mardin, in prevalenza curda, distrutta dalle forze militari turche, e rilasciata nel febbraio 2019 dopo quasi tre anni di detenzione, non avendo modo nella prigione di Diyarbakir dov’era rinchiusa di avere carta, penna e matite, ha continuato a scrivere e dipingere, usando come inchiostro il caffè e come colore il proprio sangue mestruale: «Lì non mi era consentito fare arte, mi hanno requisito carta, matite, ma c’era qualcosa che non potevano requisire e con quel qualcosa ho provato a dipingere». Le immagini dei suoi quadri realizzati con il sangue mestruale, suo e delle compagne di cella, hanno fatto il giro del mondo. Il gesto di Zehra Doğan non sarebbe stato compreso, se non fosse in atto, al presente, una rivoluzione capeggiata da artiste, scrittrici, poetesse, modelle, attrici, fotografe, giornaliste che puntano a svelare la violenza e la misoginia sedimentate in secoli di dominio maschile e si impegnano a modificare automatismi e pregiudizi interiorizzati acriticamente riguardo al corpo femminile, in particolare riguardo alle mestruazioni.
Si discosta da questo filone dell’arte femminile contemporanea, andando oltre il livello della provocazione, della denuncia, della volontà di scandalizzare, di suscitare disgusto o di esibire il sangue mestruale, l’artista emiliana Clelia Mori che con le sue opere recenti indica un’altra via: la rappresentazione del valore delle mestruazioni, la celebrazione del “mistero” del corpo femminile, dell’energia creativa del sangue mestruale che ogni mese si rinnova. La consapevolezza del significato simbolico di quel sangue, che non è provocato da ferita né da violenza maschile, ma dipende semplicemente dal ciclo stesso della vita umana su questa terra, reso possibile dal corpo femminile fecondo, porta l’artista a sostituire progressivamente il rosso acrilico utilizzato nelle prime opere per mettere in evidenza le macchie di sangue mestruale, con l’oro puro, ad indicarne, quasi in un processo di trasmutazione alchemica, la preziosità.