E’ impressionante quanto il Parlamento appaia agli occhi dei più semplici – come io sono – lontano dalla realtà.
Un numero molto alto di italiani (arriverebbe addirittura al 93% secondo una ricerca della Swg per l’Associazione Coscioni) gli chiede di legiferare sul fine vita. Si sono addensati i progetti di legge ma nulla accade. Ovviamente le motivazioni per questa ignavia ci sono, dal timore di irritare la Chiesa alla considerazione che questo del “fine vita” sia un tema troppo sensibile e dunque foriero di ulteriori divisioni in un luogo sempre minacciato da scossoni più o meno intensi.
In questa società i progressi del sapere medico, dei farmaci, dei macchinari sanitari sono enormi; non sempre però in grado di curare. Così la vita si prolunga ma con essa anche la sofferenza, a tempo indeterminato. C’è poi un modo di sentire cambiato, una minore capacità di sopportare il dolore, un peso maggiore attribuito alle decisioni individuali (l’io conta anche troppo!).
Non c’è solo il morente con la sua domanda di una fine degna. Intorno a lui ci sono i vivi, quelli che lo accompagnano pietosamente, amorosamente, e quelli che non vogliono guardarlo. La nostra società rimuove la morte, esclude la sofferenza, spera di vivere in eterno.
D’altronde “la morte è un problema che riguarda i vivi” scriveva Norbert Elias.
Ora, la sentenza della Corte costituzionale: “Non è sempre punibile chi aiuta al suicidio” riferita al radicale Marco Cappato che rischiava dodici anni per aver accompagnato in Svizzera a morire il dj Fabo , fornisce una ulteriore prova della neghittosità dei parlamentari i quali, in un anno, non hanno saputo legiferare su una questione certo non semplice, ma evidentemente sentita da cittadine e cittadini, che riguarda il vivere e il morire.
In fondo, bisogna ringraziare i Radicali che già con l’aborto e il divorzio avevano dato voce ai bisogni di tanti chiedendone la traduzione normativa.
Adesso, la Consulta dei vescovi ha invitato a muoversi contro una sentenza della Corte che “mette in discussione la cultura della vita”. Quando deve intervenire “la coscienza del limite” senza aprire la porta a una cultura della morte?
Ma tornando al punto, se il nodo tanto aggrovigliato tra etica e norma non sembra assillare gli eletti, un’altra riforma ha visto la luce con grande velocità: il taglio dei parlamentari. Hanno votato a favore quasi tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione, tranne +Europa che ha continuato a protestare per l’attentato alla rappresentanza.
Dunque, sarà questa riforma il cuore delle preoccupazioni degli italiani? Per ora il parlamento ha glissato, come si trattasse di punti di nessuna importanza, sulle indicazioni pur necessarie di pesi e contrappesi per evitare squilibri che contraddicono le indicazioni della Carta. Ha trascurato l’interrogativo su una nuova legge elettorale, la diminuzione del peso dei delegati regionali, il ridisegno dei collegi per eleggere rappresentanti che poi dovranno a loro volta votare il capo dello Stato. “Quisquilie e pinzillacchere” avrebbe detto Totò.
Ma tant’è. Di vittoria (simbolica) parlano i 5 Stelle visto che il loro intento è quello di riavvicinare la democrazia parlamentare al popolo e hanno la sicurezza che lo snellimento di un numero pletorico di parlamentari aiuterebbe in questa direzione.
Il guaio è che il popolo mettendo a confronto rapidità e inerzia mostrate dai parlamentari su argomenti imparagonabili, potrebbe confermarsi nell’idea che, incapaci di affrontare l’assillo di migliaia di persone, questi parlamentari sono una combriccola di scansa fatiche.