Circa un mese fa, il 13 settembre, cadeva il bicentenario della nascita di Clara Wieck, che fu moglie di Robert Schumann. Ci sono state e sono in corso varie iniziative – in Italia per la verità un po’ in tono minore – per ricordare lei e la sua musica. Oggi viene considerata forse la figura più eminente di musicista donna del periodo romantico, non solo come pianista, ma come compositrice. Anche lei, però – che pure è stata acclamata nei concerti dei teatri e delle corti di tutta Europa per un abbondante mezzo secolo – non è sfuggita alla sottovalutazione e rimozione toccata a tante musiciste, fino ai nostri tempi. Stretta tra un padre autoritario, musicista e insegnante anche lui, che la spinse (e costrinse) però fin da bambina piccola a dedicarsi interamente al pianismo, e un marito genio che pur riconoscendone e sostenendone il talento fu anche obiettivamente un ostacolo alla sua libertà.
I Schumann avevano due pianoforti in casa, ma Clara quando Robert era assorto nella propria ispirazione creatrice, non poteva suonarne nemmeno uno, per non disturbarlo. Lei stessa aveva interiorizzato l’idea che una donna non potesse ambire al vero genio artistico. Si occupò di ben otto figli e spesso procacciava il reddito familiare con i sui concerti. Anche in musica trascurò la “produzione” per dedicarsi prevalentemente, e con bravura assoluta, alla “riproduzione”.
La memoria di lei aleggiava giovedì scorso durante un bel concerto tenuto da due giovani artisti al conservatorio Respighi di Latina. La violinista Rebecca Raimondi e il pianista Alessandro Viale (il loro duo, Ardorè, suona più spesso musica contempoarena), intitolando l’occasione “Il violino romantico”, hanno eseguito tre pezzi magnifici e anche, soprattutto i secondi due, molto difficili: la sonata in fa minore op. 4 di Mendelssohn, la sonata in re minore op. 108 di Brahms, e la sonata in si minore di Respighi.
Un viaggio dentro la sensibilità romantica che parte dalla creazione del giovanissimo Mendelssohn del 1823, passa per un maturo Brahms del 1889 e arriva con Respighi al 1917.
Prima dell’esecuzione – brillantissima e molto incisiva, a quanto posso giudicare da dilettante – gli artisti hanno parlato del rapporto tra autori e esecutori nel romanticismo, evocando le mitiche figure del violinista Joseph Joachim, che fu amico, ispiratore e compagno di concerti con Clara e con Brahms, o della pianista Fanny Davies, che era stata allieva di Clara e della quale si può ascoltare qualche antica incisione. In particolare il concerto in la minore di Robert Schumann eseguito con la Royal Philarmonic Society diretta da Ernest Ansermet, reperibile su YouTube.
Ma il romanticismo – con tutto quello che questa parola può ancora significare – sembra essere sopravvissuto ben oltre il 1917 di Respighi. Per Isaiah Berlin ciò che è stato pensato, scritto e creato nella Germania tra la fine del ‘700 e i primi decenni dell’800, è stato “il più vasto movimento recente che abbia trasformato la vita e il pensiero del mondo occidentale”. Un mutamento che ha agito molto profondamente nel senso comune, oltre che nella cultura, e a cui Berlin fa risalire tanto le degenerazioni totalitarie del fascismo, quanto quello spirito della libertà individuale che anima “il liberalismo, la tolleranza, la decenza e la consapevolezza delle imperfezioni della vita; in una certa misura, un accrescimento dell’autocomprensione razionale”. In una sorta di eterogenesi dei fini.
Che sia utile – oltre a riascoltare le bellissime musiche della coppia Schumann – rimeditare quelle antiche discussioni tra illuminismo post rivoluzionario e visioni romantiche per capire qualcosa dello strano inquietante tempo che ci capita di vivere oggi?