Ieri era un altro giorno. Oggi il governo giallorosso è ai nastri di partenza, e resta tanto più necessaria la richiesta ai nuovi alleati di non consentire atti di violenza contro chi si occupa già tutti i giorni di “rendere sempre più vivibile e sostenibile per i residenti” la città di Roma, come recita l’ultimo dei punti programmatici della bozza resa nota ieri ai votanti della piattaforma Rousseau. La cosa vale per “Lucha y Siesta”, come naturalmente per la Casa Internazionale delle Donne di Roma e tanti altri luoghi in cui si svolgono azioni per soddisfare il diritto alla casa, all’accesso alla cultura, al miglioramento della vivibilità dei quartieri, alla lotta contro la violenza e alla ricerca di nuove pratiche per la cura e la civiltà delle relazioni.
Si tratta anche qui di “beni comuni”, un concetto che torna in un altro dei punti programmatici evocati da Pd e 5Stelle, che però non comprende, sbagliando, questo tipo di realtà. Aggiungo che non mi sembra opportuno, politicamente, tirare sempre in ballo in queste discussioni romane la questione dello stabile occupato da Casa Pound. Se Casa Pound svolge una azione a favore di chi sta peggio, se rinuncia esplicitamente alla violenza – questo sì va chiesto con intransigenza – non vedo perchè non possa ottenere un riconoscimento del proprio impegno. Un altra faccenda è combattere le loro idee politiche che consideriamo sbagliate e pericolose.
In realtà è tutta la situazione degli “sgomberi” e degli spazi urbani “occupati” che deve essere affrontata in tutte le città con una visione nuova, capace di comprendere e di scegliere, con metodi democratici, e di aiutare le esperienze positive.
La Costituzione prevede la tutela della proprietà privata ma la legge “ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Immagino che il principio valga a maggior ragione per le proprietà pubbliche o di enti sottoposti comunque agli indirizzi delle amministrazioni pubbliche.
PS: grande soddisfazione per la scelta dei democratici inglesi che si sono ribellati al gradasso e sbruffoncello (biondo) delle loro parti!
Pubblicato sul manifesto il 3 settembre 2019 –
Dunque siamo ancora appesi ai click della “piattaforma Rousseau”, e forse ai capricci di Di Maio, e poi ai parlamentari in procinto di “cambiar casacca”, ma con la garanzia di non “perdere la poltrona”.
Bisognerà tornare sul lessico – parole chiave e parole non dette – della pazza crisi. Ma intanto sbizzarriamoci per qualche ora con la fantasia, avanziamo modeste proposte, accogliamo anche i surreali inviti del redivivo Grillo, riconoscendo la straordinarietà del momento che attraversiamo, nel mondo intero, e affrontando problemi drammatici con un po’ di ironia e di piacere di vivere, lottare, e persino governare.
Il vecchio Pci si autodefiniva “di lotta e di governo”. Una cosa seria. Però che fatica! E che noia! Sempre lì a lottare e a governare… (a volte ci si divertiva agli stand delle Feste dell’Unità. Sarà per questo che il nome è misteriosamente, fantasmaticamente sopravvissuto a quel giornale e a quel partito?)
A Roma da un po’ di anni ci sono donne che a modo loro lottano e governano in uno stabile vicino alla Tusculana, abbandonato da molti più anni dall’ATAC, l’ente che dovrebbe assicurare alla città una mobilità decente, ma ne sembra costitutivamente incapace. Hanno scelto per la loro impresa un nome meraviglioso: “Lucha y Siesta”. E’ l’ironica onomatopeica allusione alla via Lucio Sestio, dove hanno sede (con tanto di fermata della metropolitana, sempre che arrivi). Per inciso, Lucio Sestio fu uno dei primi tribuni della plebe nell’antica Roma: si batteva per ridurre e dilazionare i debiti dei poveri e per limitare la proprietà terriera.
Ma il nome allude anche alla vivacità delle battaglie popolari in America Latina, e alla tendenza a valorizzare il riposo e la ricreazione propria di tanti popoli del Sud del mondo, a noi mediterranei ben nota, e per quanto mi riguarda simpateticamente condivisa.
“Lucha y Siesta” si batte per la libertà femminile e contro le violenze maschili, ospita un gruppo di donne e bambini che si sottraggono ai loro persecutori (mariti, compagni, padri depravati ecc.). Ma nonostante la serietà e gravità di queste sofferenze la loro casa è un luogo aperto e accogliente, dove si discute, si impara, ci si diverte e si fa festa.
Ora tutto questo è messo in discussione dalla decisione di ATAC e del Comune di Roma di “sgomberare” lo stabile che deve essere “messo a reddito” ( ATAC, oltre a non essere capace di far funzionare gli autobus è anche sull’orlo del fallimento). La cosa dovrebbe accadere tra pochi giorni, il 15 settembre, e pare che la sindaca Raggi non abbia ancora nemmeno offerto una alternativa.
Mi sembra immorale e inaccettabile. “Lucha y Siesta” già produce un “reddito” incalcolabile in termini di servizio, cultura, civiltà. I proprietari e gli amministratori non hanno l’autorità morale, ammesso che abbiano quella giuridica, per compiere un simile odioso gesto, che contraddice centinaia di promesse retoriche di combattere la violenza maschile contro le donne. Questo gesto sarebbe proprio una violenza contro le donne.
La nascente (?) alleanza giallorossa avrebbe qui l’occasione di fare una cosa buona: riconoscere il valore di questo luogo – come di altri in simili situazioni – e delle donne che lo animano. Lo dico a chi ha gli strumenti per intervenire: la sindaca Raggi, il presidente della Regione Lazio Zingaretti, il sottosegretario alle pari opportunità Spadafora, lo stesso concittadino Grillo, che parla di una “rivoluzione antropologica”, e forse dovrebbe spiegarci un po’ meglio che cosa intenda. E perché no, al “nuovo umanista” Conte.
Ispiratevi al compagno Lucio Sestio!