A Centocelle, sono comparse frasi prese dai testi di Nanni.
“Si può sentire lo strappo sonoro scorrere il sangue la nuova vita che arriva”.
“In una realtà caotica ostile immensa”
Si tratta, ha spiegato l’anonimo che le ha scritte di “Una lingua per l’antifascismo”.
Forse. Sicuramente sono la testimonianza di un rapporto lungo e mai interrotto con pezzi di società che a ondate vanno a comporre i movimenti e sono il segno della gratitudine di tranti per aver mandato all’aria le regole del gioco.
Nanni ha tessuto molte relazioni. Misteriosamente perché era silenzioso e non gli piaceva esporsi. Un amalgama di timidezza e coraggio, leggerezza e temerarietà.
Un ballerino delle parole che tra le parole si muoveva per afferrare l’imprendibile e l’imprevedibile della vita. In modo da opporre l’imprendibile al divenire storico.
Era contradditorio, sicuramente. Dopo la fuga sugli sci (che non metteva da vent’anni) e dopo il processo 7 Aprile, quando tutto si concluse, osservò che i giudici avevano fatto bene a spiccare un mandato di cattura nei suoi confronti perché aveva la colpa di essere “un sovversivo”.
Da sovversivo si è comportato nella scrittura, nello sperimentare e nel mettere alla prova linguaggi diversi per realizzare cose in perfetto equilibrio tra grazia, leggerezza e integrità lungo un itinerario sistematicamente sottosopra.
Nutriva una sorta di euforia per quello che produceva ma, in un tempo nel quale in tanti si attribuiscono un eccesso di protagonismo, di narcisismo, di importanza si metteva in ascolto, annotava, rilanciava le voci attraverso la sua voce.
D’altronde, non ha mai esibito le viscere e non si è incollato al passato per restarci incollato.
Era uno strano tipo di uomo (l’hanno descritto come dotato di una grazia femminea). Se dovessi dare una spiegazione direi che non soffriva della malattia di molti maschi: apprezzava la mente femminile, non aveva alcuna dimestichezza con la misoginia.
Era un ottantenne che non si lamentava della vecchiaia. Una volta, in una delle nostre settimanali cene (eravamo in quattro) in un ristorante romano mi disse: Facciamo quasi più di 400 anni a questo tavolo.
Balestrini “è l’allegria che non demorde” ha scritto Bifo.
Aveva adottato una parola d’ordine realista: Bisogna appartenere al proprio tempo e pazienza se non prepariamo l’avvenire.
Così è riuscito a combinare (verbo che mi pare molto adeguato) scrittura e lettura del mondo: questo gli dobbiamo, questo penso di dovergli. In effetti, la sua storia ha costruito molti e molte di noi e credo che continueremo ad abitarla.