Nelle tante espressioni di stima e di affetto per Massimo Bordin lette e ascoltate in queste ore su Radio Radicale (quella che il governo giallo-verde vuole chiudere), i colleghi giornalisti hanno forse evitato una confessione: quanto piacere, magari narcisistico, veniva dall’essere citati nella sua fantastica “Stampa e Regime”. Persino quando poi il suo giudizio non era favorevole.
A noi è capitato e gliene siamo grati.
Una volta lesse integralmente un pezzo – nel quale si citavano i Radicali – che, per qualche errore di impaginazione (ogni tanto avveniva e avviene nella carta stampata) era capovolto con la fine all’inizio e l’inizio, oscurissimo, ripetuto verso la conclusione.
Una risolutezza che denotava l’enorme passione per i Radicali e il loro progetto: la capacità di essere appassionatamente di parte come condizione per l’esercizio rigoroso dell’obiettività, dell’acume e della trasparenza.
C’è qui tutta la forza – indispensabile sempre e soprattutto in questi tempi – di una cultura liberale e libertaria che prende sul serio l’idea, mai pienamente realizzata, di uno “stato di diritto”.
Bordin della politica conosceva splendore e debolezze e l’ha raccontata mentre, probabilmente, almeno ad ascoltare certi suoi commenti, faticava a prendere in considerazione un movimento come il femminismo per il quale “il personale è politico”.
Era un uomo fascinoso. Lo si vede nelle foto che ritraggono il suo sguardo ironico e sapiente, sotto la capigliatura candida. Un fascino che ha evocato – pensiamo alle cose scritte da Luigi Manconi e Giuliano Ferrara – il linguaggio della musica. Un tocco di pianoforte. Un cantato da crooner.
D’altronde, se Bordin non ha mai smesso di raccontarci una storia nella quale si alternano arroganti e sfruttati, forti e deboli, l’ha fatto trasmettendo – in senso letterale – un’ esperienza teatrale, musicale, umana.