Pubblicato sul manifesto il 19 marzo 2019 –
Sabato scorso, 16 marzo, ho assistito (solo in parte per la concomitanza di altri impegni) al seminario dal titolo scanzonato ma molto serio “Europa, come ti vorrei”, organizzato dal Centro per la riforma dello stato (Crs) e dall’Associazione per il rinnovamento della sinistra (Ars). Ma ho potuto poi ascoltare tutto grazie a Radio Radicale. E così potete fare voi, andando al sito della radio.
Una premessa quindi, come hanno fatto in apertura Maria Luisa Boccia e Vincenzo Vita: ci vuole un impegno vero per salvare Radio Radicale (e tanti altri presidi per l’informazione, come questo giornale, il quotidiano l’Avvenire, e decine di altri media legati a realtà territoriali e associative) dai propositi governativi di tagliare il finanziamento pubblico, col rischio della scomparsa di realtà preziose per la democrazia. La quale non può vivere se non viene garantito quel “conoscere per deliberare” scritto nella testata della radio.
Aggiungo che è forse facile difendere Radio Radicale per l’importanza del suo “servizio pubblico” – dalle dirette dei lavori parlamentari, alle tante altre occasioni di dibattito spesso rimosse dai media mainstream. Più difficile affermare che è proprio la cultura politica che ispira la radio a dover essere salvaguardata. Un punto di vista genuinamente liberale, e libertario, che prende i diritti sul serio. Partendo da quelli degli “ultimi”: coloro che stanno in carcere, gli immigrati privi di cittadinanza. E da tutte quelle situazioni nel mondo in cui stati autoritari e totalitari (e anche sedicenti democratici) perseguitano chi non si adegua alle ingiunzioni del potere.
Ho appreso da Radio Radicale che nella vicina Francia – certo messa a dura prova dalle violenze dei giubbotti gialli e neri – c’è anche chi denuncia (da una istituzione che non conoscevo: il Difensore dei Diritti, oggi l’ex ministro Jacques Toubon) il rischio di una deriva repressiva che scaturisce dallo “stato di emergenza” deliberato per gli attentati terroristici. Operando una modifica nei comportamenti di governo e polizia che si sta consolidando anche quando l’”eccezione” viene meno.
Solo i radicali, se non sbaglio, annunciano un presidio per ricordare al presidente cinese in visita in Italia che è inaccettabile la repressione nel suo paese. Ed è inquietante che lo stato italiano stenda intorno a questo ospite un cordone protettivo che gli impedirà persino di vedere la protesta.
Naturalmente la sinistra non apprezza gli aspetti ultra-liberisti della cultura liberale radicale. Ma guai se trascurasse di accogliere in se stessa quella intransigenza democratica per lo stato di diritto la cui rimozione è stata causa di tragedie immense nella storia del movimento operaio.
Con ciò mi accorgo di aver quasi esaurito lo spazio… Il confronto di sabato è stato molto interessante, sin dalla iniziale constatazione di Maria Luisa Boccia: una vera democrazia europea non è mai esistita: bisogna inventarla e praticarla. Guardando soprattutto a quei movimenti transnazionali – femministi, antirazzisti, ambientalisti – che affermano un’altra idea di politica, di libertà, di identità non soffocante. Ci si dovrà tornare. Dai tanti temi affrontati – conflitti internazionali, immigrazione, nuove tecnologie, ambiente, federalismo – dovrebbe venire (proposta di Franco Ippolito della Fondazione Basso, accolta nelle conclusioni di Bianca Pomeranzi) una elaborazione anche oltre la campagna elettorale alle porte