Questo testo è stato pubblicato nell’Almanacco 2019. Cronache di un anno della rivista on-line Alfabeta2, a cura di Nanni Balestrini e Maria Teresa Carbone, DeriveApprodi – Edizioni Mudima, Milano 2018, (pp. 58-61, con il titolo “Femminismo. Le donne prendono la parola; la censura le mette a tacere”).
Comincia tutto il 5 ottobre del 2017. Cinque giorni dopo le prime accuse di molestie e stupro contro il produttore americano Harvey Weinstein migliaia di donne si mettono a raccontare sui social le frasi sessiste, gli insulti, le aggressioni subìte. Un’ondata che non risparmia nessun ambiente, nessuna autorità, nessun uomo più o meno potente. Segue l’anno del #MeToo, ma anche della manifestazione di un milione di donne e uomini a Madrid contro il femminicidio, del movimento internazionale Non una di meno.
Dunque, dopo tanti de profundis al femminismo, le donne esistono, prendono parola a partire dalla propria esperienza: hanno subìto ciò che non volevano, non desideravano. Sono state costrette a tacere sulla distruzione fisica e psicologica di sé. Adesso non più.
Cambiamento epocale? Adesso le voci femminili vengono credute quando rivelano di essere state vittime di un saccheggio da parte degli uomini. Hanno sperimentato il desiderio ipertrofico di quei Pantagruel che attraverso i rapporti sessuali garantiscono la propria virilità. Questo non significa la scomparsa dei gradassi arroganti tuttavia cominciano a sciogliersi i “se” e i “ma” con i quali veniva ascoltato il discorso femminile.
Un terremoto sta scoperchiando la cultura dell’impunità a Hollywood come alla Casa Bianca, alla Corte Suprema americana oppure al Municipio di Stoccolma dove avviene la premiazione dei Nobel.
Le attrici dell’Oscar, il cui corpo è per mestiere sotto la luce dei riflettori, hanno dato forza alle altre: Svelate la vostra intimità violata, le prevaricazioni, gli abusi, i silenzi, i ricatti sui luoghi di lavoro. Bombardate il quartier generale di un sistema finora considerato normale. Scuotere l’albero dunque, avendo però davanti agli occhi l’immagine di tante immigrate, rifugiate, esuli, abitanti dei paesi nel Sud del mondo ancora sole. Senza difesa, senza sostegno.
Se ci fermiamo un momento a riflettere, le trasformazioni provocati dalle donne, anche dalle giovanissime, hanno sempre una memoria, una storia dietro le spalle: nella relazione tra i sessi, nel desiderio, nel simbolico, nel potere. Così, un filo sottile lega la vicenda del #MeToo al libro del collettivo di Boston (1975) “Noi e il nostro corpo”; alla manifestazione “Riprendiamoci la notte” (1976) oppure al documentario “Processo per stupro” (1979) realizzato da Loredana Rotondo, Ronie Daupolo e altre quattro registe.
Certo, il presente è diverso per via della rete che amplifica e rilancia la frase: “Anch’io sono stata vittima”.
Un esempio? #quellavoltache storie di molestie (Progetto Le donne parlano, Simona Bonsignori; Paola Tavella; manifestolibri, 8,00 euro, 2018), divise per contesti, lungo le ore delle nostre giornate, delle nostre notti: lavoro, famiglia, strade, giardini, cinema, concerti… Ne ha scritto un ricco numero di Leggendaria (il 128) Feminist Wars Vulnerabilità e potenza. Ma non c’è solo il web. La questione del #MeToo e dello squilibrio di potere tra uomo e donna circola sui media, nei libri. Lo ritroviamo in un giallo come “Anatomia di uno scandalo” (traduzione di Carla Palmieri, Einaudi 2018) di Sarah Vaughan, dove si puntano i riflettori sulla legge e le sue difficoltà quando si trova di fronte una accusatrice divisa tra attrazione e repulsione, incertezza e costrizione. Quando cioè il Sì guizza (dunque lei è d’accordo) e poi trascolora, impallidisce in un No (dunque lei ha ritirato il suo consenso), se pure sussurrato a mezza voce. Un No insicuro? Oppure non ha detto né Sì né No che viene accolto come una sorta di silenzio-assenso.
Nelle aule dei tribunali si lotta senza esclusione di colpi intorno a un interrogativo: quella donna era “consenziente”? Spesso la giustizia fatica a vedere che i due sessi non sono sullo stesso piano; non si equivalgono. Per non parlare dei rapporti appena – malamente – conclusi che mica puoi chiudere come se premessi un interruttore della luce.
Ammettiamo pure di conoscere il confine (sempre provvisorio) tra gioco seduttivo, corteggiamento e prepotenza. Non è facile distinguere a occhio nudo. Lui è ricco, lei è povera. Lui è brutto, lei è bella. Lui è famoso, lei è sconosciuta. Anche tra anime gemelle, scordatevi la simmetria!
Nei tempi cupi che stiamo vivendo, si suppone che le risposte in termini punitivi siano le più allettanti. Basta vedere il decreto Sicurezza approvato in questo inizio autunno. Più reati, maggiorazione delle pene, garantismo morto e sepolto, Stato di diritto dimenticato. La svolta securitaria è l’aria che circola in una società più chiusa, sulla difensiva, impaurita.
Anche molte femministe respirano quest’aria. Ripiegamento sul corpo, arroccamento sulla sessualità, rinuncia alla politica in nome di battaglie senza quartiere contro la gestazione per altri o contro la prostituzione in quanto “stupro a pagamento” (titolo del manifesto-denuncia che è il libro di Rachel Moran).
Con il #MeToo la rete di solidarietà tra le vittime ha preso forza. La parola liberata contesta e contrasta forme di dominio diventate insopportabili anche per tanti uomini. Tuttavia, l’esplodere della rabbia per l’impunità di cui gli uomini hanno goduto per tanti anni, il mutamento di mentalità, l’opinione pubblica che comincia a rendersi conto del sentimento di vergogna e di paura capace di paralizzare le vittime di aggressione sessuale può produrre risultati inattesi: una disposizione censoria, moltiplicazione di accuse e controaccuse, giochi al massacro.
Tanto per citare qualche esempio: Kevin Spacey eliminato dal film Tutto il denaro del mondo, sospesa da Netflix la stagione finale di House of Cards mentre si pretende il ritiro delle opere di Balthus dai musei; il finale della Carmen in chiave “antifemminicida”; la retrospettiva dei film di Polanski osteggiata. Notate che nel ’91, per Polanski presidente della giuria di Cannes nessuno aveva mosso un muscolo.
Anche Asia Argento, tra le iniziatrici del #MeToo, ci è andata di mezzo: X Factor ha interrotto la collaborazione in seguito alle accuse di molestie che pesano su di lei. Il corso degli eventi sembra capovolto. Ma non è ancora concluso. Per dare un giudizio, sappiamo troppo poco sul rapporto con l’attore, attualmente compositore e cantante Jimmy Bennet che accusa Asia di aver “abusato” di lui. Il padre di Asia, Dario, si è interrogato se sia una vendetta del produttore Weinstein per denigrare l’attrice. Ora, se una giovane donna ha desiderato un giovanissimo maschio, saranno fatti suoi (salvo che Bennet non la denunci). Questo non scredita il movimento #MeToo a meno che qualcuno non creda alla difesa dell’avvocato del ragazzo: Asia avrebbe puntato sul suo potere (doveva produrre un film con Bennet) come Weinstein con lei.
Intanto è venuta fuori la vicenda del saggista Jan Buruma, direttore della New York Review of Books, contestato dagli investitori pubblicitari e dalle femministe per aver chiesto a un musicista (arrestato per comportamenti violenti, processato e infine assolto) di rispondere con un articolo alla domanda “Cosa si prova a essere messo alla gogna?”
La pubblicazione di quell’articolo da parte di Buruma giustificava un molestatore, gli offriva spazio, gli dava la possibilità di dire la sua senza tenere conto della condotta predatoria del musicista?
Ma il caso che dilania l’America è quello del giudice Brett Kavanaugh indicato da Donald Trump per la Corte Suprema il che sposterebbe gli equilibri verso i conservatori.
Christine Blasey Ford, docente in California – e poi altre due donne -, ha accusato Kavanaugh di averla aggredita sessualmente più di trent’anni fa (lei aveva 15 anni, lui 17) nel corso di una serata innaffiata di birre.
Il giudice ha negato tutto: “troppo giovane” per bere e “vergine” all’epoca. Il blocco repubblicano ha denunciato un complotto ordito dai democratici, in primis dai Clinton.
Credere alla parola di Christine Ford significherebbe molto vista la spinta di tante mobilitate per le elezioni di midterm.
Insomma, non tutto procede armoniosamente dopo il #MeToo. I processi mediatici, le denunce sui social sono pericolose; hanno delle conseguenze. Ma è passato solo un anno da quando un sesso ha scelto di rompere l’omertà: da vittima silenziosa a soggetto che decide di sé e del suo corpo.