di Monica Luongo
Zapping di una femminista seriale (Ledizioni, cartaceo e ebook) non è una carrellata seppur sapiente di una binge watcher (letteralmente una spettatrice che si “abboffa” di serie tv, come oramai si usa definire questo tipo di pubblico a cui sono felice di appartenere) impegnata, intelligente e femminista.
L’operazione che compie Federica Fabbiani – esperta di genere e comunicazione, giornalista – è una torsione ermeneutica. Sono in molte/i coloro che scrivono di letteratura televisiva seriale dando la dovuta enfasi ai ritratti sempre più emergenti di figure e tematiche femminili e femministe: le serie tv sono già divenute letteratura, sceneggiature e produzioni sono testi e sottotesti che riflettono come specchi ampi segmenti di società e gruppi in evoluzione, in costante mutazione; qualcosa che le immagini aiutano per arricchire il quadro delle distopie contemporanee: emancipazione, lavoro, violenza, multirazzialità, diritti, immaginari fantastici, spy stories classiche o sfrenate. Anche chi non è amante del genere conosce i titoli più famosi come The handmaid’s tale o Orange is the new Black: lo streaming e i portali come Netflix ne rendono la fruizione immediata e la scelta immensa. Non si tratta più di snobbare il genere serie tv, perché è parte della nostra narrazione contemporanea.
L’autrice, dicevamo, fa un passo in più: piuttosto che rintracciare tematiche ed evoluzione dei femminismi nei ritratti e nelle sceneggiature di personagge e personaggi, ricostruisce il cammino e le battaglie per i diritti e l’emancipazione femminile, ripercorrendone le avvisaglie, le tracce, i segni e i simboli così come riflessi nelle serie televisive. Dunque l’impegno del lavoro svolto è stato quello di ricucire attraverso testi e storia, pietre miliari del femminismo internazionale e nazionale infilando in questo ampio patchwork saggistico piccole e grandi perle che vengono da quello che da piccole chiamiamo piccolo schermo e oggi sono diventati devices: pc, tablet, smartphone e anche tv, certo; protesi imprescindibili strumenti per decifrare il presente. Uno sforzo non da poco quello della selezione e del tracciato storico-teorico-della differenza.
E’ possibile – si chiede Fabbiani all’inizio del saggio – individuare una trama femminista nella serialità femminista? E lo fa aprendo le danze con Fleabag, la serie britannica scritta diretta e interpretata da Phoebe Waller-Bridge, una delle più irriverenti viste nel corso di quest’anno e una delle migliori in assoluto, quasi il monologo di una donna sola, una vita drammatica e uno spirito caustico che non si perdona e non assolve. E se siamo certe che attraverso serie come queste il femminismo si mostri rivitalizzato e definitivamente divenuto parte delle trame seriali, diciamo con Fabbiani che “le serie tv ben interpretano il terreno scivoloso su cui si arrampicano bisogni e desideri realizzando intrecci tortuosi con personagge multidimensionali”.
Da qui siamo accompagnate lungo un percorso storico-descrittivo diviso in capitoli che hanno i nomi di testi chiave del femminismo, di slogan, o di battute sceneggiature: Non credere di avere dei diritti della Libreria di Milano e Le parole per dirlo di Marie Cardinal. Le storie del suffragismo e Olympe de Gouges, mentre l’autrice ricorda che Sex and the City non è propriamente una serie emancipatoria, che pure presenta dei modelli che alla fine degli anni Novanta mostravano donne che non disdegnando il sogno del lieto fine, affermavano un io sfacciato e quantomeno insolito per i tempi. Accanto a Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff – sempre nel capitolo storia dei diritti e delle pari opportunità – scopro e prendo appunti per vedere La guerra di Miss Frimans che racconta l’emancipazione delle donne svedesi. The Bletchey circle dedicato alle donne che durante la seconda guerra mondiale decifravano i codici tedeschi e che come i reduci tornano a casa; la nascita del welfare britannico passato sulla pelle di migliaia di donne e raccontato da Call the midwife tratto dal romanzo di Jennifer Worth, vita di una ostetrica in cui la regia mantiene volutamente il male gaze, lo sguardo maschile sulla narrazione.
Il balzo agli anni Sessanta sembra breve ma non lo è: Betty Friedan, Simone De Beauvoir, bell hooks e Audre Lord, ad aggiungere alla rivendicazioni dei diritti delle donne anche quelle del mondo afroamericano e di quello omo, come in When we rise. Femminismo già in odore di differenza? Non ancora: dovremo aspettare prima Carla Lonzi e lo studio degli orgasmi femminili cosi come li studiarono Master&Johnson e raccontati in maniera avvincente dalla serie Master of Sex che ripercorre la storia scientifica e personale dei due medici statunitensi che contribuirono a rivoluzionare ciò che fino ad allora si era creduto della sessualità femminile e dell’orgasmo.
Il percorso è lungo e ricco e non vogliamo fare spoil per non dirvi dove va a finire la ricca bibliografia e filmografia che mostra quanto deve essere stato difficile compilare e tagliare, se vogliamo tenerci al gergo cinematografico: i femminismi della differenza, Luisa Muraro e Adrienne Rich (“L’utero è tornato prepotentemente alla ribalta quale terreno di scontro intergalattico”), la grande storia matrilineare ancora minata che è il canovaccio su cui Jane Campion e Gerard Lee tessono Top of the lake, le istanze LGBQT secondo Teresa De Lauretis e Maura, la professoressa in pensione finalmente libera di fare outing in Transparent. E ancora, il non binary gaze di Sense8 e le inquietanti inquietudini di I love Dick.
Se insegnassi in una scuola superiore porterei Zapping di una femminista seriale con me: niente di meglio che sfidare sullo stesso terreno chi di femminismo ha solo sentito parlare piuttosto che collezionare sbadigli.