Scrivo nella pausa di un seminario dedicato al tema del “prendersi cura”, nell’ambito delle “Accademie della maestria femminile” che si stanno svolgendo presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Questi incontri si tengono anche oggi, martedì 15 maggio: alle 10 è prevista una lezione di Annarosa Buttarelli sul pensiero delle donne, alle 15 riprende e si conclude l’appuntamento sulla cura, coordinato da Letizia Paolozzi (con Alessandra Bocchetti , Elettra Deiana, Bianca Pomeranzi, Livia Turco,).
Ieri si è parlato di come la cura – tradizionalmente assegnata alle donne – potrebbe divenire una leva per trasformare un modo di vivere e di produrre che ci piace sempre meno, se un’idea del mondo che non rimuova la fragilità di ognuno e il bisogno di relazione di tutti fosse compresa anche da noi maschi. Si è parlato – ho provato a farlo anch’io – di come questo desiderio di trasformazione passi anche attraverso un conflitto sul potere della parola e del linguaggio. Ho ricordato che nella “lezione” con cui aprì, nel ’77, i suoi seminari al Collége de France, Roand Barthes osservò che il potere è un “parassita” fortissimo della lingua, e in particolare – mi è stato fatto notare – della scrittura, una procedura della civiltà che non per caso – ha osservato Ginevra Bompiani – si afferma contestualmente alla vittoria del patriarcato e all’avvio della “storia”.
Per cambiare le cose – è stato anche detto – bisognerebbe intervenire fin dai primi anni della formazione, quando si costruisce la personalità e si hanno i primi rapporti con la scrittura e la lettura.
Ma è possibile, oggi, nella scuola? Non vi domina una terribile incuria?
Ho ascoltato alla radio una notizia che ha dell’incredibile: dopo tanta retorica sulla “buona scuola”, e sul ruolo centrale e “manageriale” dei presidi (“dirigenti scolastici”), si scopre che mancano da anni i concorsi necessari a ricoprire i posti vacanti. Si prevede che nei prossimi due anni quasi il 50 per cento ( la metà!) delle scuole del Belpaese non avrà il suo o la sua preside!
Ma nonostante tutto la scuola non è solo mancanza e degrado. La settimana scorsa ho raccontato qualcosa di un progetto in piedi da 4 anni contro gli stereotipi di genere all’istituto comprensivo di Salerno intitolato a Rita Levi Montalcini. Oggi consiglio la lettura di un libro che mi ha segnalato Daniela Dioguardi, una delle autrici, edito da Carocci, e a cura di Mariella Pasinati (della Biblioteca delle donne dell’UDI di Palermo) intitolato Insegnare la libertà a scuola. Proposte educative per rendere impensabile la violenza maschile sulle donne.
Vi si parla di un altro progetto formativo triennale rivolto alle e agli insegnanti della Sicilia, che ha anche prodotto significative esperienze didattiche. Consiglierei di sfogliarlo la prima volta partendo dalla fine. C’è una cartina dell’isola in cui si percepisce a colpo d’occhio la quantità delle scuole e dei docenti coinvolti. Poi una documentazione dei lavori didattici fatti in classe, che per lo più parlano della presenza nella storia, nella scienza, nella letteratura, delle donne. Ancora oggi troppo rimosse dai programmi (una cosa che fa infuriare Alessandra Bocchetti…). Quindi una ricca serie di contributi sui vari aspetti di questa esperienza, abbastanza straordinaria – mi pare – anche perché fatta propria e condivisa dalla struttura istituzionale scolastica. Il libro è infatti aperto da un testo di Maria Luisa Altomonte, dirigente generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia. Seguono scritti di dodici donne, e di un uomo, assai utili a farsi un’idea della “maestria femminile”.