“Sulla violenza/Ancora” Lettera/appello per Antonietta e le sue figlie

6 Marzo 2018

 Pubblichiamo il testo di una lettera aperta indirizzata a* Ministr* di Interno, Difesa, Sanità, Giustizia, chiedendo ragione degli antefatti relativi all’uccisione di Antonietta Gargiulo e delle sue figlie. Le adesioni vanno inviate a  [email protected]. La lettera è stata pubblicata da La27Ora del Corriere della Sera e da altre testate e agenzie di stampa.

L’esposto di Antonietta Gargiulo in Questura è rimasto fermo quattro mesi. Antonietta si era presentata alla Questura di Latina il 7 settembre , tre giorni dopo che Luigi Capasso l’aveva aggredita davanti allo stabilimento della Findus, dove lavora. Nulla è accaduto fino ai primi di gennaio.
Che cosa non ha funzionato nel caso di Cisterna di Latina? Perché continua a succedere?

Al ministro/a dell’Interno
Al ministro/a della Difesa
Al ministro/a della Sanità
Al ministro/a della Giustizia

All’alba del 28 febbraio, Antonietta Gargiulo era nel garage della sua casa di Cisterna di Latina pronta per andare al lavoro quando il marito Luigi Capasso, appuntato dei carabinieri in servizio a Velletri, le ha sparato tre colpi di pistola ferendola gravemente. Poi l’uomo ha preso le chiavi dalla borsa della donna, è entrato in casa e ha ucciso le figlie, Alessia e Martina, e si è asserragliato nell’appartamento. Dopo lunghe ore di inutili trattative con le forze dell’ordine, Luigi Capasso si è suicidato. La coppia era in via di separazione (l’udienza era fissata per il prossimo 29 marzo), lei aveva denunciato la violenza del marito dentro e fuori le mura domestiche, confermata dalle testimonianze di amici, conoscenti e persino del parroco del paese, le figlie erano terrorizzate dal padre e non volevano trascorrere del tempo con lui. Antonietta Gargiulo aveva cambiato le serrature della porta d’ingresso, riferito delle sue preoccupazioni ai superiori del marito, presentato un esposto al commissariato di polizia locale, contattato i servizi sociali per proteggere le figlie e assunto un’avvocata per seguirla nella causa di separazione rifiutandosi di incontrare l’uomo di persona. Era dunque ben consapevole di essere in pericolo: ebbene, tutto ciò non ha impedito che Luigi Capasso sia riuscito a ferirla gravemente, a uccidere le due figlie.

Questo caso non è una ineluttabile tragedia familiare come ancora scrivono alcuni giornali, ma un classico caso di femminicidio, a suo modo esemplare. Come i dati Istat e quelli del Ministero degli Interni dimostrano, sono moltissimi gli uomini di ogni età, livello culturale, estrazione sociale, provenienza geografica che reagiscono con violenza, anche la più estrema, alla volontà di una donna che vuole interrompere una relazione, sottrarsi ai maltrattamenti e al controllo, essere libera.

Le statistiche del 2017 ci dicono che i femminicidi registrati in Italia sono ormai oltre il 25% del numero totale degli omicidi, come si rivela anche nel rapporto finale della Commissione Parlamentare sul Femminicidio votata all’unanimità al senato (6 febbraio 2018). Nella relazione del Primo presidente della Cassazione Giovanni Mammone in apertura dell’anno giudiziario (26 gennaio 2018) si denuncia come sia «di notevole allarme sociale il fenomeno del cosiddetto femminicidio, che è indice della persistente situazione di vulnerabilità della donna e di una tendenza a risolvere la crisi dei rapporti interpersonali con la violenza».

Le Associazioni femminili e femministe, i Centri Antiviolenza, i presidi negli ospedali, alcuni segmenti delle istituzioni, si sono impegnati a fondo perché le donne imparassero a riconoscere i segnali di pericolo fin dal primo schiaffo, e infatti cresce il numero delle donne che si rivolge alle forze dell’ordine, alla magistratura, ai servizi denunciando violenza domestica, persecuzioni, stalking e cercando di salvarsi la vita. Eppure sappiamo che fra le donne uccise moltissime avevano cercato aiuto e non sono state ascoltate in tempo.

La violenza sulle donne è sistematicamente ignorata, sottovalutata, spesso risolvendosi in un esito fatale.

Ora noi ci chiediamo: che cosa non ha funzionato nel caso di Cisterna di Latina?

E chiediamo a voi, ministri/e competenti: di chi sono le responsabilità? Che cosa intendete fare, nelle rispettive competenze, per accertare queste responsabilità e trarne le dovute conseguenze?

Se fossimo di fronte a morti per mafia, per terrorismo, per criminalità di bande giovanili o per qualsiasi altra causa riconoscibile come “fenomeno”, come si risponderebbe – come rispondereste?
Noi riteniamo che il fenomeno dei femminicidi sia sistemico e non occasionale, sia strutturale e non frutto di un raptus, di gelosia, di un momento di follia. Allora la risposta deve essere all’altezza della gravità del fenomeno, mentre invece i servizi di prevenzione e protezione delle donne in pericolo di vita sono del tutto insufficienti, come i fatti dimostrano.

Noi riteniamo che ci siano rilevanti responsabilità politiche e istituzionali oltre che culturali nel perdurare del fenomeno, e tra le responsabilità di chi gestisce la cosa pubblica c’è anche quella di accertare e nel caso punire gli attori di un dispositivo che troppe volte, quando donne segnalano di essere in pericolo, risulta negligente, omissivo, in alcuni casi complice.

E se cambiare la cultura e riequilibrare la disparità di potere fra uomini e donne è un lavoro culturale di lunga lena, in cui devono impegnarsi da subito le scuole di ogni ordine e grado, i servizi sociali e i media, ci sono alcuni provvedimenti che invece possono essere presi subito, immediatamente, poiché in altri Paesi dove questo è stato fatto si ottengono buoni risultati e i femminicidi vengono prevenuti più spesso che in Italia, le donne e i loro figli messi in salvo e sostenuti nel percorso di uscita dalla violenza.

Noi proponiamo l’immediata adozione in Italia di un metodo di intervento multi-agenzia sulle situazioni ad alto rischio, sul modello di quello adottato nel Regno Unito (il cosiddetto “metodo Scotland”) che in sette anni ha portato a una forte riduzione delle vittime in quel Paese. Nel 2006 questo metodo è stato adottato in Spagna con risultati altrettanto positivi. Noi proponiamo di imparare dagli errori, adottando la procedura di “Domestic Homicide Review” prevista in Gran Bretagna: che presuppone l’istituzione di una commissione per ogni caso di violenza domestica, vale a dire coinvolgendo tutti gli attori implicati, partendo dalla domanda: “Avremmo potuto salvare la vittima?”.
Non si tratta soltanto di individuare delle “colpe”, bensì di far luce sulle falle di un sistema complesso e integrato allo scopo di evitare l’esito fatale di futuri casi analoghi. Noi siamo a disposizione per collaborare con le autorità per organizzare in tempi brevi forme di contrasto coordinato alla violenza maschile sulle donne, per verificarne l’efficacia, per correggere gli errori e le inefficienze in corso d’opera.

Noi proponiamo che il caso di Cisterna di Latina venga analizzato e studiato come un caso esemplare per capire dove e come le istituzioni hanno fallito, perché è stato inutile che Antonietta Gargiulo denunciasse, si premunisse, rendesse noto a tutti e in particolare ai servizi e alle autorità che lei e le sue figlie erano in gravissimo pericolo. Noi siamo addolorate, rabbiose, esasperate e spaventate per lo spreco di buone intenzioni su questo dramma enorme, dagli altissimi costi umani, sociali, economici e sanitari.

Vogliamo delle risposte: rapide, pubbliche e precise.

Prime firmatarie Francesca Barzini (giornalista) Barbara Beneforti (scrittrice) Giulia Blasi (scrittrice e attivista) Simona Bonsignori (giornalista) Stefanella Campana (giornalista) Saveria Chemotti (scrittrice) Annalisa Comes (scrittrice) Anna Maria Crispino (giornalista) Maria Rosa Cutrufelli (scrittrice) Cecilia D’Elia (saggista) Sylvia De Fanti (attrice) Alisa Del Re (docente) Luciana Di Mauro (giornalista) Vittoria Doretti (medico) Laura Fano (antropologa) Elvira Federici (consulente filosofica) Gabriella Ferrari Bravo (psicoterapeuta) Franca Fossati (giornalista) Maria Rosaria La Morgia (giornalista) Loredana Lipperini (giornalista e scrittrice) Maristella Lippolis (scrittrice) Monica Luongo (giornalista) Costanza Jesurum (psiconalista) Anna Mainardi (bibliotecaria) Silvana Maja (regista e scrittrice) Barbara Mapelli (pedagogista) Silvana Mazzocchi (giornalista e scrittrice) Silvia Neonato (giornalista) Maria Serena Palieri (giornalista) Matilde Passa (giornalista) Flavia Perina (giornalista) Giovanna Pezzuoli (giornalista) Giorgina Pi (regista) Alessandra Quattrocchi (giornalista e scrittrice) Liliana Rampello (docente) Silvia Ricci Lempen (scrittrice) Ivana Rinaldi (storica) Patrizia Rinaldi (scrittrice) Luisa Rizzitelli (attivista) Cinzia Romano (giornalista) Linda Laura Sabbadini (statistica sociale) Assunta Sarlo (giornalista) Giorgia Serughetti (ricercatrice) Monica Strambini (regista) Renata Summo O’Connell (curatrice d’arte) Nadia Tarantini (giornalista e scrittrice) Paola Tavella (giornalista) Licia Troisi (scrittrice) Antonella Viale (giornalista) Valeria Viganò (scrittrice) Angela Vitaliano (giornalista e attivista #Timesup) Emanuela Zuccalà (giornalista)

 

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