Invecchiando, mi capita di pensare a quale programma minimo di vita varrebbe la pena di applicarsi, immaginando di dare un po’ più di senso e di soddisfazione a un futuro che si assottiglia.
Per esempio, è possibile riconoscersi dilettanti ma con un certo rigore? O in questa direzione ci si impantana in un ossimoro ridicolo?
Molto tempo fa ho imparato che il mestiere di cui ho vissuto, il giornalismo (si conosce lo scherzoso adagio: sempre meglio che lavorare!…), condanna a una inevitabile superficialità. E’ meglio saperlo per cercare di evitare gli incresciosi opposti: la sciatteria, l’inattendibilità o il puro falso da un lato, e dall’altro la pretesa di infallibilità, specialmente nelle materie in cui, a volte, si diventa (o si crede di diventare) “specialisti”.
Insomma il cronista necessariamente superficiale dovrebbe sapere di dover essere anche un po’ un epistemologo, un linguista, una persona che non rimuove completamente certi principi etici nonostante sia quotidianamente in lotta con la tirannia del tempo (e quella del caporedattore di turno).
Un modo rigoroso di scrivere superficialmente.
Quanto al dilettante, il contrasto dei significati è ancora più acuto. Dilettare, dal latino delectare, significa procurare piacere a se e agli altri. Diletto, sostantivo, è sinonimo di godimento, soddisfazione, sollazzo. Come aggettivo significa, secondo un dizionario etimolgico on-line, “amato per elezione, cioè di puro amore e per effetto di ragione, non d’istinto e di concupiscenza”. Dis-legere vuol dire scegliere, cercare con attenzione e distinzione.
Tutte cose molto buone. Se non che nel linguaggio comune il dilettante è soprattutto colui, o colei, che pratica uno sport o un’arte non per professione, ma, appunto, per il solo piacere di farlo. E sin qui va bene. Ma quando il professionista agisce in modo insufficiente, approssimato, errato, ecco che scatta l’orribile insulto: sei un dilettante! Altro che piacere, qui il sentimento si carica di irritazione, fastidio, disprezzo.
Impegnarsi per una rivalorizzazione del termine dilettante potrebbe quindi avere non solo un senso per la propria dignità personale, ma per una socialità, e una politica, migliori.
Specialmente sulla scena politica, siamo assediati da un certo numero di dilettanti, nel significato negativo del termine. Forse non è solo qualcosa di ridicolo proporsi di dimostrare, in prima persona, che è possibile eseguire in modo presentabile e piacevole una sonatina di Clementi, oppure, discutere di un argomento complesso con una qualche proprietà di linguaggio e conoscenza dei fondamenti di quel problema. Inoltre, un po’ come con le note di una canzone o di un pezzo per pianoforte, anche nell’uso delle parole è possibile inseguire una certa armonia,non oltrepassare una soglia minima al di sotto della quale si perde ogni piacere dello scambio e ci si inabissa nella stonatura, nella volgarità, e si finisce agli insulti su facebook.
L’arte di procurare un vero piacere e diletto a sé e agli altri e altre dovrebbe essere meglio investigata di fronte ai gravi fatti di cui siamo testimoni. Penso non solo alle tragedie consumate o incombenti da Mogadiscio a Vienna, ma anche alla catastrofe dell’immagine della sessualità maschile che ci investe da Hollywood, e in realtà da moltissimi altri luoghi.
Non mi illudo certo che basti una, come dire, disposizione dilettevole per reagire a tali disastri. Eppure sospetto che anche le grandi idee migliori, quando emergono e producono inattesi cambiamenti, siano ancorate alla capacità individuale di “far piacere” sorprendendo il prossimo.