Asia Argento ha dato il via a una sorta di autocoscienza collettiva, sostenuta da #MetToo e negli Usa #MyHarveyWeinstein e in Francia #BalanceTonPorc.
Non vi convince questo uso del confessionale pubblico? Qualcuno obietta che in questa ondata ci mette poco la parola femminile a trasformarsi in un appello alla delazione: dei più alti in grado, dei superiori gerarchici, dei colleghi. Dei maschi in genere.
In effetti, se nelle denunce il nome dell’aggressore difficilmente viene pronunciato, il punto riguarda la violenza. Che non è inventata. Lo racconta, anche con il silenzio, la parola femminile. Anche con il silenzio perché, ha osservato il presidente del Senato (sul Corriere della Sera di domenica 22 ottobre) “Chi subisce violenza tende quasi a rimuoverla. C’è un blocco iniziale. Poi arriva il momento della denuncia e lì c’è la paura di subire la riprovazione sociale….”.
Avete mai provato a descrivere a un magistrato cosa succede di notte, di giorno, per strada, in autobus, sul lavoro? Alla legge non piacciono le fisime. Per credere ha bisogno di vedere. Le vittime di propositi sessisti, di pressioni a connotazione sessuale, di aggressioni fisiche rinunciano subito. Per solitudine, sfiducia, giovane età, debolezza, timidezza. Che problema c’è? Tanto basta dire di no. “Così fan tutti. Non esageriamo. Non sono questi i veri problemi delle donne”.
Sui social è diverso. Si può scivolare sulle date, sui luoghi, sulle prove e controprove. E al diavolo il garantismo.
Asia Argento ha capito che quello che le è successo quando aveva venti anni, non è soltanto un suo problema. E’ il problema del rapporto tra uomini e donne. Perché c’è di mezzo la sessualità. “La voglia maschile di affermare la propria potenza sessuale è esplicita. Una virilità connaturata con il potere” (Edoardo Albinati ne “La scuola cattolica”).
Adesso, il produttore democratico Harvey Weinstein non ha più il potere di una volta. Quando, con gli Oscar (quattro a Tornatore, Salvatores, Troisi, Benigni) beneficiava il cinema italiano. E per La vita è bella lo benedicevano urbi et orbi.
Però il comportamento maschile continua a trasformare il potere economico, sociale, simbolico in rapacità sessuale.
Certo, non raccontiamoci che è solo e sempre così: da un lato ci sono i maschi cattivi, del tipo alla David Carradine in Kill Bill e dall’altro le donne oppresse.
Tuttavia, molti uomini coltivano spesso la bizzarra idea che se le affidano quella parte in un film o le pubblicano un pezzo sul giornale o le danno appuntamento dopo l’orario di ufficio, la donna dovrà pur dimostrare la sua gratitudine.
Succede non soltanto al cinema benché qui gli esempi siano plateali. Rapacità nel caso Lars von Trier (che ha smentito) e Bjork. Umiliazione in nome dell’arte con il panetto di burro brandito da Marlon Brando e così sodomizzare Maria Schneider in Ultimo tango di Bertolucci. Genialità di Hitchcock contro il lamento di Tippi Hedren che dopo cinquant’anni, verso gli 85, ancora non dimentica: “Mi ha rovinato la carriera ma non la vita”.
A dimostrazione che il silenzio non significa consenso nei confronti di un sesso privilegiato. Al quale viene garantita una sorta di immunità. Tuttavia la rabbia femminile di questa immunità non sa che farsene. Ha scoperchiato la pentola.
Oggi circola una forza femminile maggiore di venti anni fa, ma bisogna ancora e ancora rompere il muro dell’omertà, mettere sotto gli occhi di tutti un’evidenza alla quale “non si faceva caso”: quella sorta di “predisposizione” maschile giacché “L’uomo è uomo”. Da qui, dall’autocoscienza femminile la possibilità di innescare – forse – un esame di coscienza maschile. E dunque collettiva.
Bene se accadrà. Qualcuno ci sta già provando. Forse più di qualcuno. D’altronde deve cambiare la testa degli uomini.
Ancora Pietro Grasso, ormai – e per fortuna – difensore istituzionale delle donne, ha commentato che la violenza è “un problema che nasce dagli uomini e solo noi possiamo porvi rimedio”.
Secondo me, il primo rimedio è che le donne abbiano cura innanzitutto di se stesse. E del loro desiderio. Il resto seguirà.