Pubblicato sul manifesto il 12 settembre 2017 –
Domenica scorsa (10 settembre) a Mantova, con Annarosa Buttarelli, Livia Turco e Letizia Paolozzi, si è riparlato in pubblico della “Carta delle donne” del Pci, che alla fine degli anni ’80 aveva tentato l’incontro tra il femminismo della differenza e un partito tutto ( o quasi ) maschile come il Pci. Che aveva messo la relazione tra donne alla base della forza femminile nella politica ( ne ha scritto Alessandra Pigliaru) e aveva proposto una radicale modifica dei tempi di vita e di lavoro, nelle città e nelle aziende, a misura del “doppio sì” femminile alla riproduzione e all’impiego nel mondo produttivo. Scelta che si andava affermando anche nella società italiana. “I tempi delle donne”, aveva sintetizzato Livia, che più tardi ( nel 2000) era riuscita a far approvare una legge per sostenere questo cambiamento: strumento solo in parte utilizzato.
Contemporaneamente si concludeva a Milano l’iniziativa del Corriere della sera “Il tempo delle donne”, in questa edizione arricchita dell’aggiunta ” e degli uomini”. È certo positivo che il maggiore quotidiano italiano dedichi attenzione alle dinamiche del mutamento del rapporto tra i sessi e al protagonismo femminile. E oggi in particolare al cambiamento maschile. Che dall’inchiesta-sondaggio del giornale risulterebbe confermato da risposte e interviste rivelatrici di sensibilità nuove per sentimenti più delicati, per l’accettazione delle proprie fragilità, per una maggiore cura dei figli, per una minore ansia competitiva e subalternità all’imperativo della prestazione.
Un cambiamento – hanno scritto la vicedirettrice Barbara Stefanelli e l’economista Maurizio Ferrera – che potrebbe essere determinante per far si che nel mondo del lavoro trasformato dalle nuove tecnologie (il mitico 4.0) il tempo liberato dai processi digitalizzati possa essere organizzato in “pacchetti” capaci di migliorare la qualità della vita di tutti. Per questa ” rivoluzione” , concludono, servirà un “confronto tra uomini e donne, uomini e uomini e (sì, anche, non poco) donne e donne”.
Sarei d’accordo. Credo però che oltre al confronto sia inevitabile un non semplice e probabilmente aspro conflitto. Non solo per reagire agli effetti negativi – più sfruttamento, più disoccupazione – che il nuovo salto tecnologico minaccia di aggravare anziché risolvere in quel mondo reale chiamato capitalismo. Ma anche, e forse soprattutto, per le dinamiche non certo tutte positive tra, e nei, sessi.
Nelle pagine dell’iniziativa del Corriere, il termine uomini nuovi ritorna con ottimistica insistenza. Ma è difficile evitare il confronto con quei luoghi della cronaca che si riempiono dei racconti sui maschi violenti contro le donne, persino in divisa da tutori della sicurezza pubblica. Temo che faticheremo ancora non poco per farci “perdonare” migliaia di anni di sopraffazioni varie contro l’altro sesso, che in realtà non sono affatto finite.
Ciò non vuol dire sottovalutare o abbandonare la sfida del cambiamento maschile, ma affrontarne fino in fondo le radici nella nostra sessualità e nel rapporto con il potere e le sue forme violente ( ne scrive Stefano Ciccone sul nuovo numero in uscita di Critica Marxista). E senza aspettarsi una troppo immediata approvazione femminile. Beppe Severgnini (Le donne corrono, gli uomini rincorrono, su “7”) scrive che anche le donne nuove “devono impegnarsi: incoraggino chi le incoraggia, consolino che le consola, ascoltino mentre vengono ascoltate… È forse l’unico modo per dare a noi maschi il coraggio di cambiare”.
Chissà se Severgnini segue la saga del Trono di spade. La donna più buona e persino disposta all’amore col bravo e onestissimo Re del Nord, la regina Daenerys, tiene comunque con le fauci accese i suoi temibili e fedeli draghi. E nessuno sa come andrà a finire.