L’esperienza del lutto è senza dubbio una delle più difficili nelle nostre vite. Dipende naturalmente dalla forza e dalla qualità dell’affetto, dell’amore, che ci lega alle persone che se ne vanno. Ma anche quando il legame affettivo personale non è fortissimo ci sono circostanze e coincidenze che ampliano e rendono molto importante la riflessione sul passato delle vite che non ci sono più, almeno nella forma in cui siamo abituati a vederle, e su ciò che lasciano in eredità.
La parola che segnalo è genealogia. Il significato nei dizionari riguarda la ricostruzione dei legami familiari nel tempo. Vale per gli umani come per gli animali. Ma il termine può assumere il senso più articolato di un rapporto che non è determinato dalla parentela. Qualcosa che resta essenziale da un punto di vista culturale e simbolico.
Di genalogia ha parlato a Martano – il paese natale di Rosetta Stella, dove è stata ricordata il 20 aprile scorso – Ada Donno nominando un’altra Rosetta. Rosetta Bonatesta, operaia tabacchina di un altro paese del Leccese, Calimera, e di una generazione precedente. Ma legata alla “intellettuale di Martano” dal filo di una passione politica spesa nell’Udi, l’Unione donne italiane (oggi Unione donne in Italia). L’una fondatrice dell’organizzazione nel dopoguerra, tra le lotte per i diritti della terra e del lavoro. L’altra animatrice della svolta che negli anni ’80 ruppe i legami tra Udi e Pci, e la cultura del movimento operaio, per approdare alle pratiche del femminismo più radicale. Una rottura anche dolorosa. Ma secondo Ada Donno – che lo ha sostenuto citando riflessioni successive della stessa Rosetta Stella – tra queste figure femminili così diverse è leggibile una stessa genealogia. Si potrebbe discettare a lungo su ciò che oppone emancipazione e libertà. Ma qui sembra potersi negare l’adagio del filosofo secondo cui ogni determinazione è una contraddizione. Che per affermare una cosa si debba necessariamente negarne un’altra.
Nelle stesse ore ho saputo della scomparsa di Bice Foà Chiaromonte, esponente della “vecchia guardia” del Pci che ho potuto conoscere da vicino grazie all’amicizia con la figlia Franca. E ho riletto una recensione del suo libro autobiografico “Donna, ebrea e comunista” (appena ripubblicato dall’editore Harpo) che si chiude ricordando l’ironia dell’autrice, “dote che appartiene sia ai napoletani, sia agli ebrei”, e che “permette a Bice – scriveva Letizia Paolozzi alla prima uscita del libro – di accennare, ma solo pudicamente, alla sua “anima“ materna. Che non ha nulla di eccessivo: non pretende fedeltà; non chiede sacrifici. Per questo Franca e Silvia le devono molto. Hanno appreso dalla loro mamma come essere libere, mantenendo un vincolo con il passato e conservando del passato ciò che è importante” (http://www.donnealtri.it/2007/04/le-anime-diverse-di-bice/). Qui il legame familiare c’è, ma la genealogia che si legge tra Bice, Franca e Silvia sembra dire anche molto di più.
Mi è infine capitato di “passare” un ricordo intenso di Alfredo Reichlin, scritto da un suo amico e allievo molto giovane (uscirà sul prossimo numero di Critica Marxista). Uno scritto denso di affetto e di riconoscenza verso un maestro, tra l’altro capace di una estrema scelta critica rispetto al proprio percorso nel Pd. E ho pensato che questo legame genealogico tra maschi – quantomeno nei contesti della politica – è sempre più raro. Non parlo della volgare e diffusa subalternità al capo di turno. Ma della capacità di confliggere senza sprofondare nel disprezzo e nel rancore, o nella sciocchezza violenta della “rottamazione”.