Pubblicato anche su Alfabeta2
“Sono un ragazzo fortunato, perché da una femminista sono nato”. A me è parsa una precisazione rivelatrice, nel corteo del 26 novembre (voluto da Io Decido, Udi, D.i.Re nel nome di NonUnaDiMeno).
Il femminismo ce l’ha insegnato. Agli adolescenti e ai maschi. Che sono molti, guidati da un movimento giovane e da quello antico, chiamato “storico”. Edda Billi, della Casa Internazionale, la baciano e la ribaciano mentre assicura “Noi siamo nostre”. L’ha scritto su un foglietto leggero come una piuma.
Tutti e tutte nel corteo contro la violenza sulle donne. Amalgamato da una empatia collettiva. C’è commistione, aggregazione, Un gruppo femminile solleva, seguendo ritmi latini, uova che cantano. Anzi, che friniscono. Portano scritta la memoria di Maria, Gianna, Sibilla, morte per mano maschile.
Le mani tengono stretti i lembi degli striscioni. Inalberano cartelli con l’atteggiamento di chi si sente responsabile per sé. E di sé. Sapientemente aboliti i bastoni: le aste di una volta. Troppo pesanti per i capelli bianchi? Quanto al femminismo, imparruccato di rosa o di azzurro, avanza con il passo delle gazzelle. “Siamo tante, di tutte le età. Siamo unite, siamo qua”.
Competenza e opere sono raccontate dalle sigle di associazioni, collettivi, gruppi, librerie. Bambini e cani procedono al seguito verso piazza San Giovanni. Si sfiorano etero, omo, transfemministe queer, froce femministe, sex workers. Per favore, liberatemi dalla normatività! Comunque, in questa manifestazione ci si accorge della presenza maschile che promette di rispettare la differenza femminile mostrando la propria. “Educhiamo uomini migliori”.
Educhiamoli con il corteo e forse dopo, sperando che ognun@ impari a prendersi cura dei conflitti inevitabili, non omicidi.
Significa che di estraneità, di separatismo non c’è più bisogno? “E’ impensabile, se non a costo di una mutilazione, che in un corpo vi sia un solo occhio, una sola mano, una sola gamba anziché due. E il corpo dell’umanità è di uomini e di donne” (le critiche d’arte Manuela Gandini e Francesca Pasini nell’Almanacco Alfabeta2 2017 Cronaca di un anno WAW Women Artists of the World)
La folla sfila in letizia. Sui giornali, in televisione non compare quasi nulla.
Unica eccezione “Il Manifesto” che, qualche giorno prima, nel supplemento, aveva scritto: ”Nelle società più aperte e democratiche, come nei paesi più chiusi e dispotici, nelle culture laiche come in quelle oscurantiste, la macabra fantasia dell’annientamento non conosce limiti. Le spose bambine, le mutilazioni genitali, le uccisioni e le pene corporali per le indisciplinate, le donne bruciate. Un catalogo dell’orrore che circonda la vita di milioni di noi. Come se la ferita che il femminismo ha inferto al potere maschile potesse essere in qualche modo rimarginata solo con il sangue, con la vita stessa della pericolosa soggettività femminile. Naturalmente vengono violentate e uccise anche le donne più quiete e sottomesse, ma l’evoluzione della condizione femminile sembra benzina sul fuoco” (Norma Rangeri).
Altra perla rara, l’ultimo fascicolo di “Leggendaria”, a cura di Anna Maria Crispino e Silvia Neonato. 40 pagine di dati, analisi, interviste per mettere a fuoco il fenomeno della violenza in Italia e nel mondo. Gli elementi di continuità con il passato e le novità indotte dalle lotte delle donne negli ultimi 30 anni. L’attività dei Centri antiviolenza e delle forze dell’ordine. Le luci e le ombre dell’intervento istituzionale, in particolare della neo-titolare delle Pari Opportunità Maria Elena Boschi. Ma anche il fenomeno nascosto della violenza degli uomini sugli uomini. E un affondo nella realtà culturale in cui la violenza è stata ed è ancora spesso tollerata, giustificata, minimizzata. Un affondo sui molti modi in cui la si racconta: la violenza nel mito e nei serial Tv, al cinema e in letteratura.
Dalle rarità alla normalità. Dove, probabilmente, i telegiornali hanno scelto il silenzio-stampa perché sentono puzzo di bruciato. “Ma quale legge ma quale dio, sul mio corpo decido io”. Fosse mai che finiscano gambe all’aria vecchie supremazie, stupide consuetudini?
Probabilmente, ha allentato la presa una visione umiliante del sesso femminile. “Il femminicida non è malato, è solo figlio del patriarcato”.
L’opinione pubblica non ha più l’indifferenza, “la comprensione” del passato nei confronti della violenza. Si apre però una nuova difficoltà giacché questa opinione pubblica difende le donne e contemporaneamente le inchioda al ruolo di vittime predestinate.
D’altronde, i carnefici non scompaiono. Il cielo è dei violenti (versetto di Matteo 11,12).
Bisogna avere il coraggio di dirlo: La violenza non scomparirà. Ma può essere smontata per riconoscerne la specificità. E il nesso con altri tipi di violenza.
Dobbiamo ancora interrogarci sulle relazioni tra i sessi. Molta strada è stata percorsa dal femminismo, dai centri antiviolenza, da alcuni uomini. Era visibile non solo sabato nel corteo, ma anche domenica all’assemblea, con l’università invasa da centinaia di giovani donne, le discussione intensa in otto tavoli tematici, la voglia di incontrarsi ancora, di agire e di contare per cambiare le cose. Eppure, noi che “Siamo le pro-pro nipoti delle streghe che non siete riusciti a bruciare” abbiamo ancora molto lavoro politico da fare intorno alle relazioni, alle pratiche di cura in grado di connettere la vita e il lavoro.