Pubblicato sul manifesto il 29 novembre 2016 –
Oggi mi renderò, credo, antipatico.Intanto mi piacerebbe sapere che cosa pensano i giornalisti e le giornaliste del Tg di Mentana (e che ne pensa lui stesso) del fatto che sabato sera questo telegiornale non ha dato alcuna notizia della grande manifestazione delle donne contro la violenza maschile svoltasi a Roma. Come nasce un simile “buco”? Oppure davvero l’evento non meritava attenzione, non era “una notizia”?
Purtroppo La7 è stata in buona compagnia: anche i tre Tg Rai hanno relegato agli ultimi posti e con pochissimo spazio questa informazione. Non molto meglio i quotidiani maggiori. Né Repubblica né il Corriere della Sera l’hanno richiamata in prima pagina. Certo campeggiava la scomparsa di Fidel Castro. Ma per trovare qualche riga sulle 200 mila donne (e numerosi uomini) che hanno sfilato tutto il pomeriggio in corteo bisognava superare anche le pagine piene della “pancia” di Grillo, del “ritorno in campo” di un certo Berlusconi o delle battute di Renzi nella “nuvola”. E anche il presidente del Consiglio e segretario del Pd, circondato dai vapori architettonici ideati da Fuksas, non ha nemmeno accennato a quanto stava accadendo nella stessa città.
Ha ragione Titti Carrano, presidente della rete dei centri antiviolenza DIRE, che insieme all’UDI e alla rete Io Decido, ha promosso la manifestazione: il sistema politico e mediatico mainstream (una volta si sarebbe detto dominante) sembra disponibile a intervenire e esprimersi se la violenza contro le donne viene usata per ricacciare le donne stesse nella posizione delle vittime. Se la loro reazione è di forza, di libertà e di potenza, si preferisce girare la testa da un’altra parte.
Lo ha detto aprendo l’assemblea plenaria domenica pomeriggio all’università di Roma, dopo un lavoro di scambio e elaborazione in otto tavoli tematici. Anche questo momento merita di “fare notizia”: centinaia di donne – per lo più giovani – ma anche di generazioni diverse, e molti uomini, hanno discusso e delineato una ricca piattaforma per quello che è stato definito un “piano femminista” contro la violenza, ma vissuto come leva di una più generale e radicale trasformazione della società.
Un incontro di persone e un intreccio di linguaggi e sentimenti che mi ha fatto pensare: esiste davvero una dimensione della politica alternativa, piena di energia e desiderio rispetto a quella che campeggia nel talk-show da avanspettacolo che ci viene propinato quotidianamente, anche – in questi giorni – su una questione seria come i cambiamenti della nostra Costituzione.
Forse anche questa esperienza ha contribuito a farmi decidere come voterò il 4 dicembre. Deluderò i miei amici del Sì: non posso seguirli nell’approvare una legge che non ritengo liberticida ma che è quantomeno pasticciata, pericolosa nell’intreccio con l’Italicum così com’è, e sostenuta dal governo con argomenti e modi inaccettabili.
Ma deluderò anche amiche e amici del No, a me più vicini. A parte l’involgarimento del linguaggio che ha convolto anche il No – ne ha scritto sul manifesto Letizia Paolozzi – secondo me l’area della sinistra che si è più o meno contraddittoriamente impegnata a dare vita a un nuovo soggetto politico avrebbe dovuto motivare il No con una intellegibile proposta alternativa. Fosse anche semplicemente l’affermazione: la Carta va bene così com’è e non si tocca. Non sarei stato d’accordo, ma sarebbe stato chiaro.
Sottrarmi al Sì e al No per me vuol dire: chiunque vinca, bisognerà poi lavorare sul serio a inventare e praticare un’altra politica.
Dalle giornate del 26 e 27 viene un messaggio che indica una strada, per tutte e tutti.