Pubblicato sul manifesto il 1 novembre, col titolo “Paura,stress,dolore” –
Quando finirà la paura, lo stress, il dolore per questo terremoto infinito? Le immagini dei paesi devastati e delle persone che vagano tra le macerie ci toccano da vicino. Possiamo capire il loro dolore, il loro dramma perché anche noi, molto probabilmente, abbiamo avvertito quella lunga, forte, scioccante scossa. Anche i vetri di casa nostra vibravano, quella pila di libri rovinava a terra, un piattino finemente decorato è caduto e si è rotto.
Qualcosa di ineluttabile potrebbe accadere anche qui, nonostante il cielo sereno e il sole invitante che fa splendere il verde e l’asfalto.
Per reagire ci si sforza di essere fatalisti e ironici, ci si aggrappa a quello che ci riempie piacevolmente le giornate. Ci diciamo che queste cose buone potranno ripetersi e continuare, che il trauma minaccioso passerà.
Ecco una cosa buona su cui da tempo rifletto con una certa soddisfazione, e che in queste ore è tornata in primo piano nella mia piccola ricerca di consolazione: da qualche tempo provo il piacere unico di avere ritrovato un maestro. Anzi, un maestro e due maestre. Mi capita essendomi rimesso da un anno a studiare un po’ la musica. Le maestre sorvegliano e indirizzano la mia capacità – sperimentata per la prima volta – di suonare insieme a altre e altri. Certo quando eravamo giovani si cantava e suonava spesso insieme, in serate di buon cibo e abbondanti bevute, in feste affollate anche di sconosciuti. Erano canzoni politicamente coinvolgenti, musicalmente toccanti.
Ma è diverso cimentarsi in età diciamo così matura con un duetto per violoncello e pianoforte di Schumann, o in una fantasia a quattro mani di Schubert.
Che soddisfazione concludere qualcosa di passabile!
Il rapporto più diretto è però col giovane maestro che mi insegna a mettere correttamente le mani sulla tastiera, che mi svela il giusto accento e la dinamica ritmica e espressiva delle frasi musicali di Mozart e Beethoven. Ho strimpellato per decenni brani musicali nei quali incespicavo sistematicamente nei passaggi più difficili. E’ come trovare un ostacolo sul proprio cammino e non si sa come fare per superarlo. Si cerca un scorciatoia a destra o a sinistra, ma non la si trova. Oppure si prova a scavalcarlo. Ma l’altezza del masso è troppa, e la nostra rincorsa è troppo corta…
Ed ecco dove conta la maestria, e la capacità di trasmetterla: prova a guardare il problema da un altro punto di vista, osserva dove batte il tasto il pollice, alza il polso, cambia così la diteggiatura, non svolazzare alto con la mano, tieniti con precisione rasoterra…
Il risultato è qualcosa di magico, leggermente inebriante. Ma sì, quella rapida scala discendente con la mano sinistra riesco a portarla fino in fondo senza inciampare persino io! Non sarà il tocco di un Brendel ma è qualcosa di quasi decoroso.
Per lo meno me lo rappresento così. E assaporo tutto il gusto di imparare qualcosa che non conoscevo.
Non è la prima volta che mi capita. Da questo punto di vista mi considero un uomo fortunato. Ho fatto ancora in tempo a riconoscere alcuni maestri – forse l’ho già scritto altre volte – in un contesto politico come il vecchio Pci e nelle redazioni dell’Unità. Questo non vuol dire che tutti gli insegnamenti fossero giusti. Ma sicuramente c’era una esperienza e una cultura, una umanità, che costituiva una ricchezza, e alcuni sapevano come trasmetterla a persone più giovani.
Anche a me è capitato di provare a insegnare. In certi brevi corsi all’Università, ripetuti per diversi anni. Nel rapporto con colleghi più giovani appena entrati in redazione. Mi è piaciuto.
Sospetto però che la mia vera vocazione sia quella dell’apprendista.