Pubblicato sul manifesto il 12 luglio 2016 –
Le acrobazie della nostra politica hanno stravaganti ricadute linguistiche. Ci si interroga sull’ opportunità di modificare l’Italicum, la legge elettorale che sarebbe una originale invenzione per il nostro paese, mai sperimentata altrove, mentre il vocabolo spacchettamento ha il suo momento di gloria unendosi indissolubilmente al referendum sulla riforma costituzionale.
L’idea, avanzata quanto prima dai radicali e fatta propria da un consistente numero di stimati costituzionalisti, era data in ascesa solo qualche giorno fa ma ieri era già giudicata un’ipotesi “che si allontana”. Peccato, perchè non mi sembra una cattiva idea. La parola significa disfare un pacchetto estraendone il contenuto: suddividere il quesito sulla riforma costituzionale in diverse parti potrebbe fare capire meglio ai cittadini tutto quello che sta dentro al pacco, e forse consentire un giudizio più informato e articolato rispetto al semplice “prendere o lasciare” a cui saremmo obbligati con un unico sì o no. Si dirà che sarebbe un metodo inusuale. Ma non è tanto usuale nemmeno la situazione politica generale in cui cade la consultazione su riforme di cui si discute inutilmente da molti decenni. Alle posizioni vagamente intimidatorie di chi dice: votate si perché sennò l’economia crolla, oppure votate no così ci liberiamo del tirannello Renzi, io preferisco la tesi di chi non si rassegna alla logica della mors tua vita mea e spera che si possa migliorare il compromesso limitato e subito disconosciuto da molti ( in primis la destra berlusconiana) che ha prodotto le discutibili norme oggi al vaglio dei cittadini.
Anzi, direi che la logica, la filosofia politica addirittura, dello spacchettamento andrebbe estesa a molti altri temi cruciali della politica sui quali vince la logica della contrapposizione violenta. Il razzismo per esempio. Se ne discute in modo drammatico di fronte alle violenze negli Usa, e in Italia dopo l’omicidio di Emmanuel Chidi Nnamdi. Ma che cosa c’è davvero dentro l’inquietante pacco etichettato con la parola razzismo?
A questi pensieri mi ha indotto un articolo – riportato ieri dalla Repubblica – di Kazuo Ishiguro sulla Brexit . I suoi romanzi Quel che resta del giorno e Non lasciarmi sono tra i più bei libri che abbia letto. Quindi il suo articolo mi ha molto incuriosito, e non mi ha deluso. Intanto lo scrittore giapponese-inglese giudica molto negativamente il metodo referendario , rispetto a quello parlamentare, usato avventatamente da Cameron per un argomento tanto importante e delicato. Il risultato ha provocato in lui una grande rabbia. Ma cerca di reagire freddamente, avanzando l’idea di un secondo referendum ( ormai la mediazione parlamentare é bruciata..) ma non sullo stesso quesito, bensì su quello relativo a una Brexit light, in cui il Regno Unito accetterebbe l’idea di partecipare ancora al mercato comune europeo ma garantendo la libera circolazione delle persone. Un discrimine che dovrebbe far emergere, tra i sostenitori del leave, chi è veramente razzista, e chi no. Ishiguro non crede che il paese in cui è cresciuto, che ha accolto lui e la sua famiglia come tanti altri stranieri, che negli anni ’30 resistette al fascismo, oggi abbia cambiato natura. Ma se non fosse così, scrive, “vorrei ricevere questa brutta notizia forte e chiaro… Cerchiamo di capire chi siamo”.
Ecco, intendo lo spacchettamento come un metodo di ricerca sulla verità in politica. Che cosa c’è veramente, oggi, nel pacco Pd? E in quello 5 stelle? Nel pacco Salvini? Nel pacchetto della Sinistra italiana? Nel modo di intendere la politica di ognuno di noi?